recensioni dischi
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BRUNO KARNEL  "Hic sunt dracones"
   (2024 )

Bruno Karnel è un polistrumentista francese attivo da quasi tre lustri. A tre anni dall’ultimo “Las Ilusiones”, l’artista è tornato con “Hic sunt dracones”, un album di undici brani che continua un lavoro di ricerca a partire da coordinate rock per arrivare a soluzioni diverse e imprevedibili, non sempre vicinissime al nucleo originario del suono.

Il titolo scelto recupera l’espressione con la quale si parlava, nel Medioevo, della fine del mondo conosciuto, oltre cui si celavano luoghi ostili e pericolosi. Obiettivo dichiarato di Karnel, quindi, è quello di addentrarsi in un'esplorazione musicale di questi spazi, in un mix di generi che è reso possibile anche dal folto gruppo di collaboratori e ospiti.

In generale, il disco si potrebbe iscrivere in una zona grigia fra rock alternativo e progressivo, ma non manca un filtro pop che ne accresce la fruibilità, anche se l’eterogeneità dei brani è davvero notevole.

L’opener, “La grise, la triste, l’horrible”, è un folk rock desertico prima della deflagrazione, mentre qualche minuto dopo la svolta è in direzione simil-post rock, seppur con fortissime note melodiche (“Mare congelatum (Der Wanderer)”).

“Kusi Kuyllur” è il principale esercizio di post rock del lavoro, mentre “Tromsø” rappresenta la principale parentesi heavy prog, ma l’episodio migliore di “Hic sunt dracones” è “Thiua”, con il suo omaggio all’antico Messico.

Il nuovo lavoro di Bruno Karnel racconta dell’esigenza di ricerca e della bella tecnica dei protagonisti, ma in qualche passaggio sembra in parte perdere di compattezza e coerenza. (Piergiuseppe Lippolis)