IL PESCE PARLA "Pastura"
(2024 )
Si rimpiange spesso quella geniale arte ironica del nonsense che ci regalò l’indimenticato e inarrivabile Rino Gaetano: un fustigatore sottile e sarcastico delle storture e dei vizi della società sbilenca ed arraffona.
Purtroppo, da quell’epoca, nulla è cambiato, anzi: forse lo scenario si è fatto ancor più deprimente. Però, c’è ancora chi crede fermamente nel potere dell’ironia dal ghigno pungente e, visto che tra i Big, nessuno si è più sobbarcato l’onere (e l’onore) di proseguire il disegno tagliente del mitico Rino, nel circuito del mainstream opera una band che, per tanti aspetti, ricalca quell’intelligente ironia narrante il costume sociale ed abitudini del quotidiano.
Risponde al nome de Il Pesce Parla, formazione pavese operante da un lustro, il quale dopo l’uscita di alcuni singoli arriva a sfoggiare il debut-album “Pastura”, amalgamata con 8 ricette mescolate in puro divertissment, che tende a far “abboccare” possibili (io direi anche sicuri) fruitori, come il boccone del titolo gettato in acqua per far avvicinare potenziali pesci in cerca di pappa buona.
Nel nostro caso, è la globalità della tracklist a servire un piatto delizioso, che non ingolfa la digestione ma si smaltisce con facilità e stimola la voglia di un bis immediato. Il punk con linee balcaniche e narrato filo-partenopeo di “Orecchini di ciliegia” apre il progetto con disinvoltura e sicurezza di mezzi, tant’è che la seguente “Tragisitcom” mostra assetti di basso autoritari che fan volare in alto il brano in formula ska-rock.
Invece il reggaettino sinuoso di “Parigi a luci rotte” ci esorta a fischiettare sotto la doccia. A mezza via, troviamo la movimentata “Inseminario”, con tanto di assoli di guitars graffianti ed un piglio invidiabile. Sono racconti stralunati di sfigati che sbavano per una storia, ricordi evasivi di liceo (per loro: inutile!), mancate propensioni a farsi chierichetto, la finta libertà scippata dall’amore o triti rituali delle sagre paesane.
Qualunque racconto esso sia, la band lombarda scocca frecce avvelenate “a salve”; inutile adirarsi più di tanto perché, comunque, i ragazzi fanno velatamente centro con la cazzeggiante ballad “Senza Piero”, come fossero degli “Zingari” sfacciati ed impudenti, oppure divorando una “Megapizza” filo-funk, con una porzione che non si nega a nessuno.
E se, dopo la mangiata, una tipa vi manda in bianco… macchissenefrega! Con “Amuore” si sorride fino alla fine. Da lassù, anche Rino applaude. (Max Casali)