recensioni dischi
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PMAD  "I in power"
   (2024 )

“I in power” è l'album del progetto solista di Paul Dillon, in arte pMad, che sostanzialmente viaggia nella darkwave, con una spinta post-punk. Con questa batteria elettronica e sopra la chitarra distorta, sembra a tratti di riascoltare i primi CCCP. Il basso elettrico è alternato, a volte anche affiancato, dal basso synth (come nel caso di “Down”), mentre la voce è baritonale e cupa. L'atmosfera plumbea e grigia è anche confermata dal videoclip di “Missing”, rigorosamente in bianco e nero, mentre per “Opinion” si opta per immagini sfuocate.

La chitarra si infiamma fino ad andare nel metal, in brani come quello di chiusura, “Sword”, o nel suono di “Fire”. Le parole di pMad esprimono uno smarrimento d'identità, tra bugie e solitudine, come in “Opinion”: “I can be somebody (…) Lie on the left / lie on the right / it hurts my head faking life”. Un arpeggio d'archi synth apre il pezzo “Confession”, dove questa tastiera “bagna” il suono secco, assieme a dei cori digitali che ricordano quelli russi.

“Electric” ha un ritmo più cadenzato, sempre sostenuto dall'incalzante synth bass, che si fa minaccioso in “Fury”, pezzo quasi da industrial metal teutonico. Leggendo in giro, possiamo parlare sia di pMad che dei pMad, perché esiste anche una band, ma il progetto gravita comunque attorno a Dillon e al suo pensiero. “I in power” è un album scuro ma energico, dove l'autore auspica che nessuno resti solo e isolato nella società, in modo che nessuno si ritrovi a pensare: “You'll never smile again”. (Gilberto Ongaro)