ANDREA ZACCHIA "Hbpm"
(2024 )
Il chitarrista Andrea Zacchia, classe '84, ha come riferimento lo stile d'improvvisazione dello storico musicista Pat Martino, scomparso nel 2021. E col suo trio chitarra–Hammond–batteria pubblica “HBPM”, album che contiene quattro composizioni originali di Zacchia e quattro standard.
Le esecuzioni del trio sono caratterizzate da un'energia travolgente. Infatti, la sigla HBPM sta per Hard Bop (e Pat Martino), e si sente forte e chiaro nei brani usciti dalla sua penna, come la superba titletrack, o la scatenata “Giordano's Blues”. È evidente la scuola di Martino, nel suo indugiare su scale minori, così come nella rapidità e pulizia d'esecuzione, una capacità muscolosa alla sei corde. Non è da meno l'hammondista, Angelo Curtreri, nelle sue fughe precipitose. Ma l'altro aspetto coinvolgente di questi due brani, sta in quegli stacchi ritmici eseguiti insieme dal trio, che viene voglia di imitarli a voce. Tattatààà, tà! Tattatààà, tà!
“The ambush” prende ispirazione da “A sound for sore ears” di Jimmy Heath, per quanto riguarda le progressioni armoniche, ma il suono di chitarra, con i toni chiusi, così ammorbidito, fa distaccare dalla canzone ispiratrice. Si tratta di una bossa nova che si alterna ad uno swing più marcato: il batterista Maurizio De Angelis sa passare da uno stile all'altro con estrema agilità, come niente fosse, senza dare segni di affaticamento. E poi “Song for Elias” è un brano dove il trio da il suo tributo ad un altro asso della chitarra jazz: Wes Anderson. Qui la batteria ha un suo divertente spazio d'assolo.
Passando al rifacimento degli standard, salta all'occhio il fatto che si siano scelti brani ad alto tasso di emozionalità. Ad esempio, la paradisiaca e commovente “The Days of Wine and Roses” di Henry Mancini, che si trasforma in uno swing rapido e tranquillo, nell'esecuzione del tema, per poi prorompere in un assolo che comunque dà importanza anche all'aspetto ritmico, a giocare con le pause, prima di entrare nel consueto frullatore di note senza respiro.
In uno stile che predilige la tonalità minore, non poteva mancare la raffinatissima “How insensitive” di Jobim, e l'assolo di Zacchia valorizza bene tutte le particolari progressioni armoniche del brano. Questo l'avevo studiato al pianoforte; chi ci si è cimentato, sa bene che improvvisarci sopra in maniera intelligente è una bella gatta da pelare!
“Nuages” del leggendario Django Reinhardt, viene ulteriormente resa ancora più sognante dell'originale, grazie anche al suono morbido dell'elettrica. E che dire della melodia cantata di “Send in the clowns”, riadattata per chitarra da Zacchia? Per suonare questa, il musicista è solo, privo di accompagnamento, per chiudere l'album, partito con così tanto impeto, finendo con dolcezza. “HBPM” mostra le varie sfaccettature del compositore Andrea Zacchia, nonché la bravura del suo trio! (Gilberto Ongaro)