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LE CANZONI GIUSTE  "Deficienza artificiale"
   (2024 )

Dopo aver creato l’universo a modo loro, ossia in maniera del tutto sardonica ed irriverente nel precedente concept-album “Felici e contenti” di tre anni fa, ecco riapparire, con la consueta sfrontatezza, il collettivo pescarese de Le Canzoni Giuste che, già dal nome scelto, fa dedurre quanta verità scorre nelle loro proposte.

“Deficienza artificiale” è la terza prova in questione, equipaggiata da un bagaglio di 13 canzoni scorrevolissime, nelle quali risuonano echi di pop, rock, rap e cantautorato, e ad ogni release questi ragazzi fanno in modo di uscire con particolari inconsueti, dando alla solita tiritera promozionale un gusto accattivante, come successe in precedenza quando adottarono esclusività tipo un gioco da tavolo e una saga di videoclip estranianti nel tempo.

Quindi, banalità azzerata in casa Le Canzoni Giuste e pronti a vivere una “Odissea nello strazio”, folle preludio alla bizzarria sconclusionata di “Open to meraviglia”, pronta a passare presto la mano allo ska-punk di “Dalai L’ama”, demenziale quanto basta per capire che il “calembour” è il ludico trait-d’union che lega ogni traccia, e la spassosità è garantita a tutto tondo.

Ci sta bene anche un bel “Vaffanguru”, se detto con ghigno graffiante e coraggioso, nel quale le chitarre ruggiscono senza remore, mentre l’elettronica “Flexo poco” manda scosse con fili scoperti di Caparezza e Rockets. Dopo il flusso schizoide di “Dissing”, la (quasi) normale “Mega feat” irrora freschi spruzzi pop-funk, mentre il singolo “Metaversus” ingloba proclami, frullati di voci varie e nevrosi a bizzeffe, tanta è la rabbia ironica verso la mania algoritmica che oggi imperversa in ogni settore, creando risultati costruiti a tavolino che danneggiano arte ed iniziative progettuali.

Insomma, nel pieno di una “Deficienza artificiale” ci sarebbe da piangere, ed invece il quartetto abruzzese cristallizza le lacrime, esorcizzandole con talentuoso sarcasmo e risoluto cinismo. Sveglia popolo! (Max Casali)