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LUCA FOL  "Luca Fol"
   (2024 )

Dentro questi trentuno minuti di musica agile e golosa ci sono tutte le caratteristiche che fanno di un disco un disco interessante. Poi, può piacere o meno, ma qui entriamo nella solita querelle dei gusti che son gusti, eccetera.

Trentenne riminese di belle speranze, variegati trascorsi e futuro che gli si augura luminoso, Luca Fol riesce mirabilmente in un’impresa non semplice, perché la materia è delicata e vanta innumerevoli tentativi di imitazione: è un cantautore sì, ma è attuale, è intelligente, è pop.

Attuale sì, benché preda di una sottile fascinazione per gli anni Settanta/Ottanta, rivisti e corretti con arrangiamenti e sonorità adatti ai tempi (“Concetti”, quasi l’ultimo Umberto Palazzo). Come è attuale, intelligente, pop “Vivi con garbo”, opener che è più di un biglietto da visita: groove disco, bassi pulsanti e battito incalzante, con messaggio inequivocabile e chorus killer a chiudere il cerchio.

Pop sì, ma in un modo scaltro e allettante, furbetto e rifinito con gusto, impreziosito da una leggerezza non vacua che offre contenuti ed invita al riascolto.

Pubblicato per TSCK Group, l’album segue di due anni il debutto in italiano di “Io sono meno inglese di thè”, proseguendo sulla stessa linea varata all’indomani della rinuncia all’inglese: è personale quanto basta, gioca bene con le parole, ha contenuti mai banali sparsi ad arte in brani concisi, azzecca ganci catchy e refrain invitanti, dispensati con piglio brillante ed una spontanea naturalezza che ne accresce l’efficacia.

Dieci canzoni buone per tutte le stagioni, sorprendentemente fresche, dritte al punto, salaci senza eccedere, condite da un’esuberanza sincera e non di facciata, funzionano grazie ad un riuscito intreccio di ritmo, synth-pop brioso, testi elaborati ed eleganti (“Distanza”, da qualche parte tra Battiato e i Bluvertigo; “Dissolubile”, colta e profonda alla maniera di Ottodix) ed una profusione di ritornelli a tratti irresistibili.

Con la più trasparente nonchalance ed una verve inesauribile, arrivano a metà dell’album quattro perle una in fila all’altra, sempre con quella ricetta - melodie allettanti, beat effervescente, linguaggio alto à la Niccolò Contessa - che sa tanto di specialità della casa. Scorrono in sequenza: “Capricorno”, con inciso di piano elettrico nel finale che ricorda Dalla ed un’aria falsamente sbarazzina memore del primo Renato Zero; l’irresistibile up-tempo à la Alberto Camerini (sic!) del singolo “Diktat”; il cinismo disincantato di “Estinguiamoci”, allegra apocalypse now dalla lieve eco tropicale; lo smarrimento amaro e nostalgico, cangiante e dinamico, di “Vita in contropiede”.

Pacata e riflessiva, intima ed introversa, appena scossa sottotraccia da un sottile malessere esistenziale, “Pratica spirituale” chiude in bilico su un’armonia ampia e suadente, mostrando con coraggio l’altra faccia ed i molti atout di un artista singolare, dotato di raro acume e di uno sguardo lucido e penetrante sugli infiniti risvolti della vita. (Manuel Maverna)