recensioni dischi
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M.ABATE, M.PADOIN, D.PATTON & V.FIN  "Il testamento dell'albero"
   (2024 )

Il testamento dell'albero, composto in onore di Marco Birro, giovane e talentuoso pianista scomparso a soli 27 anni nel 2020, unisce un poker di artisti straordinari e versatili come Marcello Abate, Matteo Padoin, Daniele Patton e Valentina Fin che danno vita a un’opera magmatica, esplosiva e piena di vita e di speranza, una risposta alla morte che è colorata, potente e sincera.

Registrato nel 2022, Il testamento dell'albero è un lavoro variegato, stratificato e multiforme, un prezioso progetto dove l’aspetto testuale – le liriche di Valentina Fin, in italiano, in tre pezzi e quelle in inglese in “Blue Eyes” scritte proprio da Marco Birro – e quello musicale – le melodie raffinate che accompagnano i testi e gli ampi momenti strumentali – sono profondamente intrecciati e chirurgicamente cuciti insieme. Essi rappresentano il più degno tributo per un artista scomparso giovanissimo, un ragazzo che nei pochi anni in cui è vissuto ha avuto il merito di costruirsi una carriera brillantissima. Al fianco di Marcello Abate, Matteo Padoin, Daniele Patton e Valentina Fin troviamo tre ospiti illustri: i sassofonisti Robert Bonisolo e Pietro Tonolo e, in una sola traccia, il pianista Paolo Birro, padre di Marco.

In quest’atmosfera magica, commovente e profondamente segnante, non poteva che nascere un’opera di indiscusso valore. Il disco è coinvolgente ed emozionante dall’inizio alla fine: che si tratti dell’apertura “Fennec”, dove sax tenore, flauto e una voce usata come uno strumento musicale creano un recinto sonoro di una bellezza nobile e antica; della poetica ed elegante “Blue Eyes” impreziosita proprio da un testo scritto da Birro, a suo modo ciondolante e scanzonata nel suo incedere che sembra farla provenire da un’altra epoca e forse da un altro universo; della traccia che dà il titolo all’album e che lo chiude, condita da parole poetiche e sentite, un folk-jazz minimalista dove le note di chitarra si legano splendidamente ai desertici colpi dell’apparato ritmico; della sperimentale ed energica “Campalto” o della seducente ed eterea “Solar Panels”, dove basso e pianoforte sembrano inseguirsi, calpestarsi e fondersi in diverse evoluzioni e rivoluzioni; tutto, ne Il testamento dell'albero, funziona egregiamente, avvolto da una malinconia dolorosa che non rinuncia mai del tutto all’idea di dover rinunciare alla speranza.

La speranza, infatti, è proprio ciò che ogni brano sembra voler inseguire, nonostante le difficoltà che questo implica, nonostante la tristezza che molti dei pezzi decidono di voler affrontare “di petto”, raccontare e a loro modo sfidare, nonostante le prospettive nel presente e nell’immediato futuro non sempre siano rosee; ogni singola nota, l’intesa leggiadra dei quattro performers, la loro volontà di costruire un edificio musicale intangibile e al tempo stesso così solido e potente agguantano la morte, la cantano e la esplorano, la superano, a loro modo la annullano senza ci sia bisogno di cancellarla, accettandola nella sua crudeltà ma convertendola in qualcosa che la musica può sconfiggere attraverso la sua bellezza, la sua sincerità, la sua necessità. (Samuele Conficoni)