ERIKA ANGELL "The obsession with her voice"
(2024 )
Uscito per la Constellation Records, “The obsession with her voice” è il nuovo album dell'artista svedese Erika Angell, di stanza a Montréal, Canada. Chi conosce l'etichetta Constellation, sa già di potersi aspettare musica senza compromessi... proprio come lo sono i bambini (ci arriverò alla fine).
L'art-rock d'avanguardia di Erika Angell è una commistione di elettronica, jazz, rock sperimentale, ambient e musica da camera. Tutte queste direzioni sonore sono al servizio della sua voce, perno della sua proposta. Angell alterna spoken word e canto, in una maniera che però, in più momenti non fa ben distinguere quando stia cantando e quando parlando. È una sorta di declamazione, un canto sillabico solenne e recitato.
La voce subisce spesso e volentieri modifiche, come il pitch a un'ottava bassa, che le dà un tipico effetto mostruoso, in “Dress of stillness”, o le armonizzazioni disturbanti in “Bear”. Un esempio eclatante è in “German singer”: oltre al tenebroso parlato principale, ascoltiamo frammenti vocali campionati e infilati in sequenze repentine di sillabe, che viaggiano rapidissime a sinistra e a destra nelle cuffie, così come i sospiri.
In “Up my sleeve” si sente un tributo estetico ai Radiohead, perché la voce si agita, si contorce come quella di Thom Yorke, cavalcando un drammatico crescendo elettronico. Altro esempio percussivo è “One”, dove ci sono solo la voce di Angell, e una batteria jazz che improvvisa. Ma “Let your hair down” invece è un drone di archi, che con la sua presenza minacciosa, sostiene i cupi vocalizzi di Erika. Il tappeto sonoro verrà poi raggiunto da percussioni tribali e caotiche.
Lo smarrimento aleggia nell'album, ma sempre con guizzo carismatico. “Never tried to run” evoca Nina Hagen, idolo d'infanzia di Erika Angell, e chi si ricorda la diva ribelle di Berlino Est, immediatamente capirà le coordinate dell'artista svedese. L'album si conclude col violoncello gentile e i suoni elettronici distesi di “Temple”. Qui, la voce di Angell si inerpica in una melodia tanto dolce quanto aperta, nel senso che non trova una chiusura, resta nell'indeterminatezza.
Questo modo di fare, Erika Angell lo ha sempre avuto. A quattro anni, riusciva a contemplare il flusso dell'esistenza, e lo faceva tramite il canto. Una cosa che in effetti, da piccoli si fa con naturalezza (anche senza cantare, chi lo fa correndo, chi stendendosi sui prati, o chi, come il sottoscritto, fissando i tetti delle case all'alba, dalla finestra della cameretta). Da adulta, cerca di recuperare quella capacità di bambina, per esprimere sé stessa, ma anche per trasportarci con lei, in quel flusso.
Se vi piacciono i mondi di Sigur Rós e di Björk, Erika Angell è una nuova artista non inquadrabile, che può fare per voi. Ma vale anche per gli altri, perché se l'intenzione è aiutarci a contemplare l'esistente, recuperando il fanciullino interiore, è un toccasana per tutti. (Gilberto Ongaro)