VERRONE "Legna per l'inverno"
(2024 )
“Raccogliamo ricordi, legna per l'inverno”. L'esordio di Verrone, cantautore napoletano, arriva con “Legna per l'inverno”, uscito per Self / Believe, e propone sei canzoni semplici, dagli arrangiamenti essenziali, anche se con qualche leggera concessione di suoni psichedelici nel brano “Selene”, dove i testi cercano una forma poetica nel quotidiano, osservando anche ciò che più che poetico risulta prosaico. Ad esempio, ne “L'ora blu”, il ritornello è riservato a uno sguardo realistico verso il mare: “Vedo un gabbiano, una barca in sosta, ed un furgone che pattuglia la costa”. Mi piace il furgone! Il realismo si mescola ai pensieri verso il futuro, questo timore per l'inevitabile erosione di una relazione: “Ci aggrappiamo ai ricordi prima dell'inferno”.
La musica è tranquilla e serena ne “Il molo di Brighton”, dove il nostro racconta invece uno stato di grazia, nel momento del rapporto, dove anche il cosiddetto “finire in bianco” non turba la serenità dell'innamorato. I due giocano e sognano come bambini: “Conta, io mi nascondo, con le mani sulla faccia e in un battito di ciglia sono pronto. Andiamo in capo il mondo, ma a pensarci su, preferisci il gioco del silenzio, vinci sempre tu, ti addormenti proprio sul più bello. Ma a pensarci su, resto ancora un poco sveglio, che a guardarti mi diverto (…) alla fine mi accontento”. O è velata ironia?
L'approccio è quello dell'indie pop degli ultimi anni (ormai si può anche chiamare semplicemente pop, dai), e la canzone che apre “Legna per l'inverno” è “Copenaghen”. Resta un mistero il collegamento tra la città del titolo, e il testo, fatto di fiducia e termini poco romantici e ancora una volta realistici: “Tu devi fidarti di me, del mio approccio critico (…) siamo fatti per durare, ma devi fidarti di me, del mio senso pratico (…) del mio impianto tattico (…) del mio tasso tecnico, non c'è molto da capire, noi veniamo per restare”. La razionalità, per una volta, la vince, in una canzone d'amore: “E a niente serve preoccuparsi ora, un cuore rotto si riparerà”.
Forse in “Selene”, l'amore è finito, lo intuisco da un dettaglio tra le strofe: “Dove sei? Hai più trovato le chiavi di casa? O già lavori alla prossima scusa? E neanche io sono andato lontano, strappo le erbacce nel vostro giardino”. Perché “vostro” e non “nostro” giardino? Lei sta con un altro adesso? Occhio, che se ti vedono chiamano la polizia!
Non tutto è quotidiano e prosaico. In “Un fiume” Verrone si concede quest'immagine: “Siamo rose appassite, aspettiamo l'estate”. Un'altra osservazione, al contempo panoramica e spirituale va sulle piazze: “Alle piazze che danno e non chiedono niente, oltre il nostro stupore”. Un arpeggio di chitarra avvia la canzone finale, “Lontano”, dove si cerca ancora la trascendenza nel quotidiano: “Prendimi l'anima, e portala a ballare, mostrale per bene quelle cose che si vergogna di provare. Suona i citofoni e sali sui lampioni”.
Riflettevo qualche giorno fa, sul fatto che le canzoni d'amore spesso sono scritte con un piglio passionale, che magari musicalmente sono anche emozionanti, ma a livello del testo continuano a perpetuare messaggi sbagliati, una certa cultura malata del possesso, e del ricatto: non lasciarmi o mi taglio le vene, adesso vengo lì e ti riprendo, mi strappo le vesti, mi butto dal ponte, io non ti voglio ti pretendo, è inutile che dici di no... Già c'è tanta violenza nella realtà, e ho sempre il dubbio che queste canzoni non si limitino a rappresentare una cultura, ma rischino anche di autorizzarne i suoi lati più turpi.
Ovviamente sono contro la censura, ognuno canti quel che sente, ma mi chiedevo: ci sarà qualcuno che scrive di sentimenti in maniera più razionale, più civile? Ed ecco che arriva Verrone a darmi una risposta! Abbiamo bisogno di canzoni che parlino d'amore in questo modo, può essere educativo. Comunque, furgone! (Gilberto Ongaro)