HERSELF "Spoken unsaid"
(2024 )
Applausi a scena aperta per quei pochi artisti che, non perseguendo scie modaiole, proseguono imperterriti dietro la barricata di proposte alternative a testa alta.
E’ il “credo” che, da circa vent’anni, porta avanti il palermitano Herself (Gioele Valenti) con assoluta fierezza e convinzione, da sei album a questa parte. L’ultimo di questi, edito dalla Urtovox, s’intitola “Spoken unsaid”, nel quale si captano segnali sonori tra dreamy, psych e alt-poprock, e giŕ da questo, si realizza che la proposta risulti tutt’altro che dozzinale.
Presagendo buone sensazioni d’ascolto, non si rimane delusi appena sfila l’introduttiva “Nostos algos”, 100 secondi spiazzanti di litania strumentale che fanno gli onori al singolo acustico “My pills”, che irrora echi di malinconie Pinkfloydiane, a braccetto con “Sand”, mentre “San Francisco bay” schiude l’uscio ad un dreamy-rock ben trattato con pathos ed “anima”.
E, visto che citiamo quest’ultima, ecco che “Soul” arriva lasciando fluire un dondolio indie-pop semplice ma prezioso per l’eclettismo del Nostro. Accordi di rock asettico sono invece la formula risolutiva di “We were friends”, che ronza nell’arnia di Bowie (“Heroes”). Ci scappano persino scampoli di sad-country in “Disaster love”, offerti qualitativamente da un manifatturiero che ha davvero bella stoffa da vendere.
Lo sfogo irruente di “TVdelica” č l’ulteriore riprova di come Herself non voglia risultare prevedibile e banale. Nulla da obiettare: c’č riuscito anche in questo sesto appuntamento a spron battuto, con incrollabile spirito partigiano. Avanti tutta, Gio! (Max Casali)