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DUOCANE  "rAmen"
   (2024 )

Il nuovo album dei Duocane (un nome un programma) si chiama “rAmen”, e ancora una volta portano in scena il loro hardcore punk misto a stoner, con momenti psichedelici. Ma, a dispetto dell'apparenza delle prime due canzoni, l'LP è abbastanza variegato nelle sonorità.

Grazie a diversi ospiti, il duo basso – batteria passa dall'aggressività di “Poi si pensa”, arrotondata dalla melodia cantata di “rAmen”, ad un ritmo più sincopato, con “D.O.C.”, dove compare un violino, che tornerà più avanti anche in “Costantino”, dove c'è anche una fisarmonica, che sposta la musica su lande folk, e anche in “Acinino”, dove la psichedelia è garantita dalla presenza di un vibrafono. È presente anche un sax, che suona in maniera selvaggia in “Rosiko!” e nella noise “Giulio, vergognati!”. Protagonisti comunque restano la batteria energica, e il basso sferragliante come quello di Les Claypool nei Primus. Che con loro, condividono il sarcasmo.

Passiamo ai testi. “Poi si pensa” sembra inneggiare a (o deridere?) uno stile di vita per stare tranquilli, cioè lasciare tutto irrisolto: “Non finire mai niente, non finisce mai niente!”. Per ribadire il concetto, i due finiscono la canzone urlando sguaiatamente il ritornello di “Can't stop” dei Red Hot Chili Peppers. Il senso di smarrimento si manifesta in “rAmen”, dove il protagonista si trova ad “andare in giro come un apolide”, contemplando il suo pranzo orientale: “Io ogni mercoledì affondo i coriandoli nel rAmen, galleggiano con me”.

Causa o effetto di questa sensazione, “D.O.C.” descrive i disturbi ossessivo compulsivi del comportamento: “Come un acufene, non so specificarlo bene, un ritornello mi accompagna, come una sciarpa su in montagna (…) un grillo nella testa (…) sono paranoie, la paura dei batteri o di poter far del male (…) sono il peggiore passeggero, che si attacca al finestrino per non aver nessun vicino”. La lingua italiana si prende una pausa per fare spazio a una cover, “Bloodstains”, che omaggia il gruppo skate-surf punk degli Agent Orange.

Il basso non è sempre martellante: a volte dà anche momenti melodici, come all'inizio di “Rosiko!”, dove viene descritta una partita di Risiko, che però sottende altri significati, che traslano dal gioco: “Voglio andare a vivere in Kamchatka, tra la pioggia, carri armati e le città (...) attacco il nero (...) penso al suo continente, tu che non conti niente mai!”.

Andiamo in Perù con lo strumentale psichedelico dal titolo misterioso “Taky Ongoy”. Si tratta di un minuto e 18 secondi di cut up, che inizia con percussioni e voci spagnole, che poi con un rumore di cambio frequenza radio, diventa un emozionante coro da chiesa. Perché? Perché Taky Ongoy era il nome di un movimento quechua, sviluppatosi nella seconda metà del '500, contro i conquistadores spagnoli. Ecco che prende significato, la contrapposizione tra suoni andini e cristiani.

“Costantino” è un lento meditativo, dove il delicato ritornello è corale, cantato assieme a una voce femminile. Questo pezzo mostra la capacità di cambiare tono del duo. Ma la psichedelia continua in “Giulio, vergognati!”, tra rumori molesti, voci megafoniche, voci in reverse, il duo che urla “C'ho l'ansia, non voglio, non ce la faccio”, e il finale è un pezzo country recuperato chissà dove.

Ancora più atmosferici, i Duocane mettono uno sfondo di cicale in “Acinino”, descrivendo appunto la situazione tipica dell'acinino, la vendemmia dove si tolgono acini più piccoli dai grappoli. Un lavoro duro, dove il suddetto vibrafono aiuta a percepire l'afa. Si evocano le visioni tipiche: “Fuoco di vigna, non esiste un contratto normale. Donne enormi e termos rossi, sorridon di fianco, han solo tre denti. Sembra una danza confusa d'età, chi dimostra ottanta ne ha forse metà. Verso le 9 tra le cicale, pelle sudata, si incolla a tute firmate. Forbici sporche odorano nero, e fino a settembre c'è terra nel vino”. Il brano poi deflagra, e quando si calma, emerge che la situazione non è proprio legale: “In questo tendone, insieme si avanza, qualcuno dice, c'è la finanza!”.

Dopo questo brano davvero avvolgente (e che dura 7'20”), l'album si conclude con “La luna giù per il camino”, caratterizzata da una chitarra lisergica, e un pianoforte riverberato. Le voci cantano basse, con tono quasi stanco: “Ti posi al buio, perdi possibilità di contemplare tutto ciò che illumina (…) cercando invano di seguire il futuro”. Il vuoto cosmico descritto dalle parole, viene riempito da una musica aggressiva e al contempo creativa. Dopo due EP e un LP, questo secondo album mostra maturità e consapevolezza del proprio stile, di cosa e come raccontare. (Gilberto Ongaro)