RICCARDO DE STEFANO "Cronologia del futuro lontano"
(2024 )
Oh beh, sarà che anche io son dell'87, sarà che anche io sono sia critico che compositore e non ci vedo un conflitto di interessi in questo; sarà che mi trovo anch'io spesso a pensare al futuro, all'universo e tutto quanto, ma sento molta risonanza, in questa “Cronologia del futuro lontano” di Riccardo De Stefano. La differenza, è che lui ha ancora dei bei riccioli in testa, io son pelato!
Uscito per Adastra, si tratta di un concept album immerso nello space rock e nel pop sintetico, prodotto con la concezione del “wall of sound” di Phil Spector, coi suoni posizionati in modo da sembrare grandi ed avvolgere chi ascolta. A parte alcuni contributi di altri musicisti, la maggior parte del lavoro è opera dello stesso De Stefano: composizione, voce e cori, chitarra elettrica e acustica, tastiere, flauto traverso, basso... e apito, il fischietto del samba!
Andiamo con ordine. L'album si apre in un synth ambient, con domande su ciò che c'è oltre la porta dello spavento supremo, come direbbero Battiato e Sgalambro, in “È finito tutto”: “Ma dove va a finire il tempo? Tutto l'amore ed il dolore?”. Poi parte un trionfo di batteria e tastiere, per “Quando viene sera”. Il canto ha funzione di preghiera, di tentativo di metafisica, e le parole solcano le profondità dello spirito: “Se i miliardi di anni che abbiam davanti ci sembran tanti, è giusto perché siamo polvere (…) è solo un sogno, è tutto un sogno, siam dentro un sogno, ma chi sta sognando?”.
La risposta, meno disperata del “Dio delle città” dei Pooh, è nel brano successivo: il “Dio delle attese”. Dopo il futuro si invoca il passato: “Dio delle attese e delle scelte sbagliate, riportami indietro a quella mia estate”. Il ricordo non va solo in estate: “Era novembre” torna con la memoria alla morte del padre. La melodia è allegra, nonostante si canti: “Mi volto indietro e c'è mio fratello coi pugni chiusi ed un groppo in gola”. Perché lo sguardo è distaccato e consapevole. Il racconto continua vivendo quella condizione, in “Bimbi dispersi”, anche se il senso di perdita va oltre il sentirsi orfani: “Non dare la colpa a Dio, al destino”.
E adesso inizia la seconda metà dell'album, la reazione a questi pensieri nel futuro e nel passato. Le riflessioni possono essere per chi ascolta, ma sembrano anche rivolte allo specchio: “Tu dici che non puoi scegliere, il mondo è un mostro e non c'è via di scampo. E i giorni restano come ustioni sulla pelle (…) credi che nessuno ti apprezzi, è colpa tua”. Con “Delia”, ecco l'apito di cui parlavo prima, perché il brano, che inizia come un synth rock, ha poi una parentesi bossa nova, con tutte le percussioni carioca, e l'assolo di flauto traverso. Nella prima parte, la melodia cantata va lenta, permettendo di valorizzare l'armonizzazione corale. La filigrana del sound è un godimento.
Le riflessioni spingono ancora nella dolce ballad “Svegliati”, con quella condivisa sensazione di noi trentenni-quasi-quarantenni, di aver perso tempo (sai Riccardo qual è un mio sogno ricorrente? Perdere il treno, o prendere quello sbagliato, che va in direzione opposta, fa un po' te...). E De Stefano canta: “Svegliati, è tardi ormai, gli altri son già via. Guarda che non riuscirai a riprenderli, se non ti sbrigherai. Muoviti, e piantala di dire che non ce la fai. Fallo adesso, finché puoi, se sbaglierai, se fallirai, allora ancora proverai”. Cristina D'Avena aggiungerebbe: “E prima o poi riuscirai, vedrai!”. Ci siamo cresciuti, con quest'ansia di farcela!
E quindi “Come andrà a finire”, continua a chiedersi la nona canzone: “Viene e va questa paura di invecchiare”. Lo space rock riporta il pensiero verso i massimi sistemi: “E una nuova stella cadrà, e un nuovo universo vivrà”. Il concept album si chiude con una promessa: “Riavremo tutto”, immaginando cosa rispondersi davvero alla fine: “Pensavo peggio!”.
La musica è curatissima e leggera, a mio avviso accessibile a tutti. Poi per le parole, va bè, bisogna aver la voglia di accoglierle. È solo una questione di essere onesti con le proprie emozioni, e ammettere che De Stefano non sta parlando della sua vita personale, ma di quella di tutti noi. (Gilberto Ongaro)