recensioni dischi
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VANESSA PETERS  "Flying on instruments"
   (2024 )

At least I can finally say I don’t think much about the past these days: attorno a questo verso dell’opener “Beauty or grace” potrebbe gravitare “Flying on Instruments”, nuovo scintillante capitolo nella nutrita discografia di Vanessa Peters, deliziosa artista statunitense legata a filo doppio con l’Italia, qui su Idol Records a tre anni scarsi da “Modern Age” con nove tracce intrise di Americana e pervase da un sentimento di ritrovata fiducia nel futuro.

A partire dal programmatico singolo “Halfway Through”, tutto l’album è una celebrazione del guardare avanti, senza restare ancorati al passato; non gettando via niente, ci mancherebbe, ma lasciandosi alle spalle quanto di scomodo o inutile la vita abbia portato con sé. E’ un lavoro fiducioso, rasserenato, luminoso addirittura, un riaprire gli occhi su inediti scenari, con great expectations e rinnovati stimoli lungo il cammino.

Co-prodotto da Joe Reyes e con la presenza oramai stabile, determinante ed irrinunciabile degli Electrofonics (oltre all’onnipresente marito Rip Rowan, suonano Federico Ciancabilla, Matteo Patrone e Andrea Colicchia), “Flying on Instruments” rinuncia a bacchettare il prossimo carnival barker e sceglie l’introspezione, preferendo concentrarsi su di sé, sul percorso in atto e sulla fuga dalle trappole sparse lungo la via.

Una scrittura resa più docile dal generale clima di ottimismo che la pervade stempera sia le asperità di “Modern Age” - ruvido e aggressivo come non mai - sia il compassato pessimismo di “Foxhole Prayers”, per ridisegnare nuove traiettorie, nel fedele rispetto di un milieu consolidato. Baciata da un’ispirazione che non ha conosciuto flessioni in oltre vent’anni di musica, Vanessa pennella i suoi classici mid-tempo solidi e incalzanti, talora più riflessivi e mansueti, inanellando una serie infinita di ganci efficaci, ritornelli contagiosi, trame accattivanti. Superfluo addentrarsi in giochi di rimandi e riferimenti di fronte a questo imperioso campionario di musica tanto essenziale quanto profondamente intima e personale: a sostenere pensieri & parole, bastano da un lato la consueta vocalità limpida e brillante, capace di intonare il chorus irresistibile di “Pinball Heart”, il country morbido di “How long” (riflessione sulla precarietà dell’esistenza) o l’afflitta amarezza di “Hey Claire”, dall’altra un innato gusto per la melodia, sublimato in pezzi incisivi e diretti.

Coscienza del tempo sprecato e successiva pacificazione, ricerca di orizzonti ancora da scoprire e di possibilità da sondare sono il leit-motiv di un disco sontuoso, ennesimo prodigio di immediatezza al servizio di temi universali. I’m overwhelmed by wasted days: siamo nel mezzo del cammin, la fiducia nel futuro non è cieca, ma la strada è quella giusta, la speranza sembra poter sopravvivere, è la prospettiva che conta.

I can’t say that I’m free but it’s better, it’s a whole lot better. (Manuel Maverna)