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PURE JOY  "Earthings"
   (2024 )

Contrabbassista e psicologa, Joy Grifoni utilizza il linguaggio del jazz per fare una ricerca culturale. Il suo progetto si chiama Pure Joy, e attorno a lei non ascoltiamo soltanto gli strumenti tipici del jazz, anche se più volte spicca il pianista, con le sue prodezze ai tasti bianchi e neri (come nel brano “Ubuntu”). C'è un'introduzione di djembé in “Uwa Duniya”, seguita dall'ingresso della marimba. Nel brano finale “Talal” troviamo la kora, un cordofono ingombrante, dal suono simile all'arpa, ma più brillante. Una voce parlante in francese ci introduce e ci congeda, qui e all'inizio, in “Kuumba”.

I titoli dei brani (gli africanisti probabilmente se ne saranno già accorti) portano concetti profondi, provenienti da diverse culture del continente nero. “Kuumba” vuol dire “creatività” in swahili, e nella stessa lingua “Uhuru” significa “libertà”. “Ubuntu”, termine forse più noto grazie alla Ubuntu Cola, è una filosofia subsahariana, che indica una connessione presente in tutti gli esseri umani, per la quale “io sono perché noi siamo”. In un minuto, Nelson Mandela la spiega molto bene.

Un ritmo latineggiante, dopo un inizio agitato di pianoforte, caratterizza “Hanyauku”, che in italiano non si può tradurre con una sola parola. Nel dialetto rukwangali della lingua bantu, parlata in Namibia, significa “camminare in punta di piedi sulla sabbia”. Una parola che richiama l'estate. E infatti, il brano veleggia sulla leggerezza.

“Talal” è l'unica parola che esce dall'Africa, se non ho sbagliato ricerca, e in arabo indica la “bellezza”. Ma la sopracitata “Uwa Duniya” indica “il mondo” in una lingua ciadica, parlata a nord della Nigeria. Fa pensare parecchio, il titolo “Lullaby for a child bride”, che musicalmente è un malinconico tema di sax soprano. Una ninna nanna delicata, dedicata a una pratica che non vorremmo più vedere.

Ma “Earthings” non giudica, racconta, con i suoni. Le uniche parole sono quelle recitate dalla voce all'inizio e alla fine dell'album (non so il francese, ma “Je suis partie” è abbastanza facile da capire). La riflessione è sui migranti e sui confini, e a quanti scambi culturali sono possibili, al di là delle paure e della disperazione. Il jazz dei primi tempi tra l'altro è di origini afrocubane, per cui parte già di suo come esperienza interculturale, ed è il linguaggio musicale più adatto, a trasportare questo tipo di messaggio. (Gilberto Ongaro)