recensioni dischi
   torna all'elenco


CRISTIANO DE ANDRE'  "DeAndré#DeAndré Storia di un impiegato"
   (2024 )

Uscito in CD e in digitale il 15 dicembre 2023, l’album live “DEANDRÉ#DEANDRÉ Storia di un impiegato” è una rilettura del concept album “Storia di un impiegato” (1973) di Fabrizio De André da parte del figlio Cristiano. Un arduo impegno, quello di affrontare la musica di un mostro sacro che, per di più, è il padre.

Relativamente al proprio disco, Fabrizio De André affermava: “Quando è uscito ''Storia di un impiegato'' avrei voluto bruciarlo. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di avere usato un linguaggio troppo oscuro, difficile. L’idea del disco era affascinante: dare del Sessantotto una lettura poetica. Invece è venuto fuori un disco politico”.

Se potessimo rivolgerci a lui, oggi, dopo 50 anni, lo tranquillizzeremmo dicendogli che ha fatto benissimo a non bruciarlo, in quanto i suoi testi ci spiegano, in chiave non solo poetica e politica, ma anche filosofica e psicologica, la situazione che oggigiorno stiamo vivendo.

La storia raccontata da Faber è quella di un impiegato trentenne che, animato dal Maggio francese del 1968 non vissuto da lui in prima persona, sogna e poi mette in pratica un atto di ribellione contro il potere costituito, precisamente l’uso di una bomba al tritolo, gesto quasi consueto durante gli anni di piombo.

L’impiegato riflette sui movimenti studenteschi e operai del ‘68, poi sogna di far saltare in aria delle “maschere” che simboleggiano il potere (Gesù, Maria, Dante, Nelson), successivamente sogna di essere giudicato per aver ucciso il padre (simbolo della legge) e di dover assumersi la responsabilità prendendo il posto del padre ucciso, si sveglia poi dai sogni e mette nella realtà la bomba, facendo per sbaglio esplodere un chiosco di giornali, e infine viene punito con l’allontanamento della donna amata e con la messa in prigione.

Nel carcere, “in mezzo agli altri, vestiti uguali”, scopre il senso di appartenenza a una collettività, che probabilmente è il vero significato racchiuso nelle canzoni del Maggio francese. Infatti, verso la fine dell’ultima canzone del disco, il pronome “mi” viene sostituito dal “ci”: “Di respirare la stessa aria di un secondino non mi va” diventa “Di respirare la stessa aria dei secondini non ci va”.

Diversi motivi musicali esposti nelle tracce iniziali del concept album vengono ripresi nei brani successivi, creando in questo modo un senso di coerenza e un continuo e teso coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore nella storia narrata: il tema fischiettato e cantato presente nel primo brano (“Introduzione”) si ripete nelle strofe della canzone “La bomba in testa”; sempre nel brano introduttivo viene esposto un motivo con influenze “etno” che poi diventa la colonna portante del brano “Il bombarolo”; l’intermezzo strumentale che dà una sensazione di emergenza (come una sirena) quando si ascolta “La bomba in testa” viene poi ripetuto in maniera un po’ rallentata nell’ultimo brano dell’album...

Ed è essenziale notare che la melodia dell’ultima canzone, intitolata “Nella mia ora di libertà”, è pressoché uguale a quella della seconda, intitolata “Canzone del maggio (liberamente tratta da un canto del Maggio francese 1968)”. Una ripresa che probabilmente evidenzia la permanenza della lotta di classe, a prescindere dalla situazione e dai mezzi utilizzati per lottare. Non solo il tema melodico si ripete nell’ultima canzone, ma anche gli ormai emblematici versi “Per quanto voi vi crediate assolti, Siete per sempre coinvolti”… versi che tutt’oggi si rivolgono alla coscienza di tutti noi.

A chi proviene da un Paese estero e non conosce Fabrizio De André quanto lo conoscono le persone nate e cresciute in Italia, questa profonda e veritiera storia fa venire in mente diverse importanti somiglianze: con il mito di Edipo, forse anche con quello di Narciso, con il libro della Genesi e soprattutto con la vicenda di Raskolnikov, protagonista di “Delitto e castigo” del grande Dostoevskij…

Cristiano De André regala a tutti questo prezioso ricordo di suo padre, presentando la motivazione del progetto così: “Nel rileggere ''Storia di un impiegato'' mi sono catapultato indietro nel '73, quando è stato scritto, fino a sentirne i profumi e le voci. Ho deciso di farne una sorta di opera rock perché ho ritrovato delle analogie con il periodo storico che stiamo attraversando”.

Analogie sì, ma in qualche modo rovesciate: i nuovi oppressori non sono più le figure patriarcali della rigida legge di mezzo secolo fa, bensì i figli edipici che – come forse suggerito da Faber nei brani “Sogno numero due” e “Canzone del padre” – hanno ucciso il padre diventando portatori di un desiderio senza freni e senza limiti. Probabilmente l’unica via d’uscita è cercare di rimettere il padre sul piedistallo dal quale la società occidentale l’ha abbattuto (forse proprio a partire dal 1968), e Cristiano De André lo sta facendo alla grande: perché l’album “DEANDRÉ#DEANDRÉ Storia di un impiegato” altro non è che una commuovente testimonianza d’amore e di rispetto nei confronti del proprio padre, generosamente condivisa con l’intero pubblico.

Il presente disco è stato preceduto dall’omonimo film documentario diretto da Roberta Lena (distribuito nelle sale Nexo Digital e disponibile sulla piattaforma in streaming nexoplus.it e sui canali di Nexo TV “House of Docs” e “Le Vite degli altri”), che a sua volta raccontava il tour di Cristiano De André iniziato nel 2018, in cui il cantautore ha fatto rivivere ai più maturi e vivere ai più giovani le emozioni suscitate dal disco del padre.

La produzione e gli arrangiamenti, firmati da Cristiano De André e Stefano Melone, riportano una versione di “Storia di un impiegato” che, pur mantenendo gli stessi temi melodici e le medesime parole del concept album di Fabrizio De André, aggiunge e integra in maniera organica alcuni contributi inediti: i rumori tipici di una manifestazione popolare, che possiamo sentire appena inizia il primo brano, le parti meditative di pianoforte alla fine di “La bomba in testa” e all’inizio di “Verranno a chiederti del nostro amore”, un ironico tema di valzer eseguito per pochi secondi con gli archi verso la fine della canzone “Al ballo mascherato”, un imponente epilogo rock nella “Canzone del padre”, l’utilizzo nel “Sogno numero due” di un sottofondo di percussioni più elaborato di quello dell’omologo brano del padre, rendendo il “battito cardiaco” musicale ancora più impressionante…

L’album di Cristiano De André sembra uno sviluppo - forse più robusto e più rassicurante - del lavoro cominciato nel disco paterno. La dolcezza e la musicalità della voce di Cristiano, quasi antagoniste all’austerità e alla secchezza della voce del padre, nonché le sane e avvolgenti sonorità rock – in parte rese possibili anche dalle tecniche di amplificazione del suono esistenti oggi, migliori di quelle di 50 anni fa – fanno percepire il presente album come una specie di risposta, di compimento del travaglio creativo costato all’ineguagliabile Faber. (Magda Vasilescu)