ASTRAY VALLEY "Midnight sun"
(2024 )
Tra le strenne discografiche, che ho trovato sotto l’albero del Natale appena trascorso, ho esitato poco a considerare una di queste, “Midnight sun” dei catalani Astray Valley, per vari motivi: tra questi spicca la primaria volontà di alzare l’asticella in ogni occasione, verso un alt-metal e metal-core che necessitava di una dovuta rinfrescatina, pena l’intorbidimento di un genere un po' in stand-bye per proposte innovative.
Da sempre, il quintetto di Barcellona, nato nel 2015, ha voluto testare le proprie capacità di speleologi di un sound misticamente oscuro ma energico, in barba a chi vuol vincere facile. Ovvio, che la missione risulti ardua ma, con la loro adeguata capacità e fantasia, questi ragazzi riescono comunque a portarla a termine con brillantezza.
Era successo nel precedente “Unneth” di un lustro fa, e si avvera anche nell’attuale “Midnight sun”, riuscendo a forgiare 8 tracce d’alto rango, pronte ad esplodere con l’introduttiva “Darkest time”, colma di riffoni, screaming e un dualismo narrativo che certifica un valido contrasto, mentre “Pray for the devil” e “The hunger” sfruttano l’incredibile duttilità vocale della bravissima singer Clau Violette per plasmare atmosfere magnetiche e volubili.
“The hunger” dissemina fascino in itinere, fornendo alla tracklist quella giusta movimentazione, alternata a quiete relativa, e tutto ciò permette di tirare le somme verso un ascolto non troppo appesantito dalle tematiche dark-auliche della band, ma l’espressione più alta della visceralità espressiva giunge proprio “quando il sole tramonta”, ossia quando al traguardo...
“When the sun goes down” ci regala tanta di quella luce come fosse il sole a mezzanotte, facendo splendere un efferato urlo liberatorio e colpi in canna sparati con tanta bile in corpo, addolciti, saltuariamente, dall’ugola della succitata Clau. L’aspetto suggestivo degli Astray Valley è che il loro modus operandi è corale, verace, mai indipendentista ma, semmai, sempre democraticamente uniti alla ricerca di quel qualcosa in più per continuare a stupire e, finché non lo trovano, meglio attendere. Ecco perché, tra un’opera e l’altra, passano cinque anni. Meglio cosi, alla grande! (Max Casali)