recensioni dischi
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SCORPION TEA  "Scorpion Tea"
   (2024 )

Chi ha vissuto in pieno l’epoca punk e hardcore che soffiava oltreoceano, non si è mai arreso facilmente ad abbandonare quell’amore di sound abbracciato e vissuto con ardore, a tal punto da costituirne uno zoccolo duro: un genere sicuramente molto “forte”, dall’impatto emotivo fibrillante, ma che poi era (ed è) capace di far instaurare amicizie saldissime, per poi ritrovarsi con alcune variabili attualizzate nel Gothic, Deathrock e city-pop.

I newyorkesi Scorpion Tea sono, appunto, un collettivo di amici di vecchia data che si sono ritrovati in un progetto gagliardo e tenace, come dimostra questo omonimo debut-album, costellato di 10 brani nei quali l’energia la fa da padrona, assorbendo influenze derivanti dalla Colombia, Ecuador e dall’Europa dell’est.

I singoli “In a vile suit”, “Scarlet Misquote e “They’re thriving without us” azzannano senza remore, con fervente oscurantismo ed angoscia latente, finalizzato a farci esorcizzare paure e timori comuni, lasciando poco spazio alla resa morale. Meglio, quindi, seguire il passo dei fratelli degni del loro nome come “Exacting father”, “Six souls Afloat” e “Clandestine whispers”, che trapelano incubi striscianti ed un raggelante piglio narrativo, con cadenze come se i Cure avessero sposato lo shoegaze più arrogante.

Invece “Summer in the shade” e “Obsidian Promises” sparano schitarrate old style, quelle che sono ancora nelle orecchie della band, sature di psycho-punk che taglia nelle viscere. Si congedano, i ragazzi, introducendo l’acidissima elettronica di “Panic attack” che ipnotizza senza pietà, giusto per rimandare ad altro “attacco di panico” prossimamente su questi pentagrammi: questo è poco, ma sicuro! (Max Casali)