THE COSMIC GOSPEL "Cosmic songs for reptiles in love"
(2024 )
The Cosmic Gospel, aka Gabriel Medina, polistrumentista da Macerata, si propone come factotum in un album indubbiamente affascinante. Con un'estetica elegantemente british, ripercorre un personalissimo viaggio tra gli anni ’60 ed oggi, tra Beatles, la psichedelia inglese degli anni ’70, la new wave, per arrivare all’estetica di certo pop elettronico, toccando anche territori cari al neo folk.
Chi leggerà queste righe, sicuramente penserà che siano paragoni pressapochisti, ma in realtà cercano di riassumere una raccolta di brani perfezionati dopo una serie di idee perdute nel tempo, come l’artista stesso ha definito. È logico quindi pensare al background di Gabriel Medina, passato giocoforza per queste lande sonore, grazie ad una esperienza musicale non comune, ma soprattutto tenuta dignitosamente conto durante la composizione. Una lealtà artistica che alla fine premia, perché l’album non risulta facilmente collocabile, grazie ad una scrittura molto personale, distinguibile a supporto di liriche marcatamente surreali.
E per restare nel surreale, il titolo del disco mi spinge a pensare anche al famoso sottomarino giallo mentre attraversa qualche universo colorato, lanciando strani messaggi. Il suo equipaggio, quattro psiconauti che esplorano mondi sconosciuti raccontando storie oltre ogni limite assurdo, supportati da qualche archeo sinth... Bando alle mie visioni, c’è anche molto di Beatles in questo disco, sottolineando ancora una volta che con molta probabilità, senza di loro non sarebbe esistito futuro per musiche come questa. Un apporto da parte dei quattro di Liverpool destinato a scardinare un sistema, un dogmatico uso del suono. Un merito che si scoprirà tuttavia molto tempo dopo.
Continuando con le suggestioni, personalmente The Cosmic Gospel mi spinge fino a toccare anche gli anni ’90, quando la creatività del nuovo rock italiano aveva pochissimi detrattori in Europa. A tal proposito mi vengono in mente, per similitudine di stili, i primi Subsonica. A supporto del fatto che in fatto di creare, l’attitudine italiana verso l’arte, da sempre parte integrante del nostro DNA, ci ha sempre reso immuni da crisi d’identità. Sono vantaggi indiscutibili... (Mauro Furlan)