ALGOT "Ouch"
(2023 )
Gli alGot dichiarano di ispirarsi ai Talking Heads, e questo attira subito la mia attenzione. “Ouch” è la loro seconda uscita, un album dopo l'EP d'esordio. Ascoltandoli, cerco di capire subito dove sia la assonanza col gruppo di David Byrne. Dev'essere un'influenza più interiore che esteriore. Forse l'unico effettivo richiamo, è il modo di suonare la chitarra, spesso con note in staccato, e a volte riff melodici in maniera contrappuntistica (nota contro nota), anziché fare accordi, e anche certe scelte di sonorità, sempre sulla sei corde, spesso pulite o con un leggero overdrive.
Per il resto, gli alGot vanno verso il math rock. Tra controtempi e a volte tempi dispari (come la opener “Esseri caotici”, in 7/8), la voce si staglia poderosa, a volte anche ruvida, ma con un'intenzione generale in qualche modo “fredda”, distaccata dalle parole pronunciate. Ma non pensiate che “Ouch” non emozioni. Solo che, nel suscitare qualcosa, in questo caso anche il distacco gioca un ruolo: aiuta a disorientarsi, perché non ti suggerisce se devi sentirti triste, felice o arrabbiato. E quindi suscita il fascino del mistero, anche grazie a una sotterranea ironia. Ecco, forse in questo c'entra l'atteggiamento di Byrne!
I 36 secondi di “Asset” sono rumori processati, seguiti da un fondo elettronico che introduce “Morforama”, brano rock dal testo alquanto particolare, ne riporto la prima parte: “Ci derideva così, puntando il dito si diverte e ti trasforma. Dinamico candore, pelle che cambia colore, questioni di pudore, con uno sguardo mi supplichi di non badare al nome. Non ci sono parole, colto dallo stupore vedo miracoli e rido, non mi importa, ho dimenticato come fossero le tue labbra. Ora sei priva d'ogni forma, troveremo il modo per riunire le nostre realtà”.
Altro elemento curioso, è la presenza in pianta stabile di un trombettista. La tromba compare più volte negli arrangiamenti, dando un colore vagamente solenne e malinconico, “riscaldando” la fredda tessitura delle chitarre. Accade anche ne “Le debolezze di una pianta annuale”, incentrata nel punto di vista vegetale: “Mi cogli solo per strapparmi i petali, chiedendomi se in fondo sia sincero, m'ama, non m'ama (...) non vedi che non resta nulla di me, sparirò”.
La voce recita in “Vivo-Privo-Vivo”, brano diversamente allegro. Nel senso che le parole sono drammatiche, ma la musica rapida resta su armonie composite (con settime, none ecc), e prevale l'attenzione al calcolo delle sequenze di chitarra. Di sicuro l'attenzione dell'ascoltatore la mantiene, anche con quegli “Spegniti” ossessivi.
La difficoltà spesso sta nel trovare il battito principale, come in “Spaccaquindici”, piena di accenti sapientemente spostati. “Spigoli” mostra qua e là delle poliritmie. Ma non è tutto così: il tempo del brano finale “Tra le costole” è molto più facilmente comprensibile, un ritmo ternario sopra il quale la voce torna a recitare. Il parlato sembra risentito, ma dal contenuto non afferro il motivo del risentimento: “Numeri in volo, apparentemente dispersi ed impossibili da afferrare, li vedo, ma non avrei mai creduto che fossero quelli giusti, quelli per me”. Nonostante la semplicità di tempo, anche qui le chitarre fanno bei giochi matematici virtuosi.
Ci vogliono più ascolti per capire tutto, e forse non è sufficiente. “Tu non stai bene”, ammonisce la voce nell'ultimo brano, nel mezzo del denso recitato. Forse è vero, anche perché sto scrivendo con il Covid... “Ouch” è un disco interessante, ma cerebrale. Bisogna ascoltarlo nelle condizioni psicofisiche adatte, per apprezzarlo pienamente; però, dal vivo gli alGot devono essere uno spettacolo, a giudicare dalle prodezze ascoltate! (Gilberto Ongaro)