OSLO TAPES "Staring at the sun before goin' blind"
(2023 )
Il suggestivo nome fa pensare a delle musicassette ritrovate in Norvegia. Invece, Oslo Tapes è il moniker di Marco Capitelli, giunto al quarto album, il quale di sicuro, tra i suoi scopi principali, ha quello di ipnotizzarti.
Prova tu a fissare il sole, finché ti acceca del tutto. “Staring at the sun before goin' blind” è il titolo di questo viaggio cosmico in una zona astrale; per dirla alla Battiato, un viaggio anomalo in territori mistici; tra kraut-, post- e art rock. Queste le labili definizioni, per avvicinarti a tradurre in parole quello che ascolti.
“Gravity” inizia a chiarire da subito le carte, con il suo ritmo da Explosions in The Sky, con un suono arioso che torna in loop a fine misure, e chitarre con chorus e fondo di tastiere. “Ethereal song”, come suggerisce il titolo, continua in questa direzione, con più malinconia 90s. Però, a metà brano il ritmo raddoppia, diventando un moderato, e lì arrivano delle incursioni elettroniche e con i synth.
Adesso, non è che voglio mettere il nome di Peter Gabriel dappertutto (ammetto la mia ossessione), però caspita, “Deja Neu” me lo richiama subito, con quel ritmo in downtempo e il basso pulsante che lo carica di groove, e l'arricchimento di percussioni, mentre la voce si mantiene bassa tutto il tempo, senza mai coprire l'arrangiamento. La testa non può fare a meno di dondolare.
Il rullante della batteria è particolarmente vibrante in “Reject Yr regret”, perché la bacchetta batte sia il fusto, che il bordo. Assieme al basso distorto, questi dettagli ci spingono nell'industrial. L'elettronica però attinge dalla deep house, quei suoni che solitamente si sentono sopra una base tunz tunz fatta dal computer, e invece qui incontra la batteria acustica. Una chitarra in reverse ci ambienta in “Like a metamorphosis”, come in un brano chiuso e glaciale, che invece si trasforma in aperto e caloroso, grazie alla chitarra acustica. Tra i crediti, leggo in questo brano che come ospite c'è Kaouenn. Musicalmente, Kaouenn è amico di trip, come si sente in questo suo disco del 2021: http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=8284, quindi dev'essersi sentito a casa qua.
Le chitarre kraut tornano aggressive in “Middle ground”, poi si ripristina quell'atmosfera ipnotica in “Somnambulist's Daydream”, tra synth e cori in falsetto di “uuh”, mentre batteria e percussioni tengono un midtempo. Sto facendo volutamente confusione coi termini, perché di solito “midtempo”, “downtempo” e “uptempo” si utilizzano per l'elettronica, mentre qui la sezione ritmica è fatta da strumenti “manuali”. Eppure, l'esito è talmente ben ibridato, che sfugge alla categorizzazione. Ed infine, la titletrack si fa acida, sopra un ritmo tribale. Voci e strumenti partecipano alla pari, nel creare questa particolare atmosfera onirica.
Se non volete diventare ciechi, il sole guardatelo con gli occhi chiusi. E, provate a premere le palpebre, come si faceva da bimbi. Vedrete i fosfeni, un caleidoscopio di colori cangianti, che gli occhi ci regalano nel buio. La musica di Oslo Tapes è così, caleidoscopica e cangiante come i fosfeni. (Gilberto Ongaro)