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COSMEDIA  "Dal momento che"
   (2023 )

Non so se abbiate presente la sensazione che si prova quando i sensi intercettano un qualcosa – un panorama, un profumo, un oggetto - che immediatamente, in modo quasi inconscio, riporta al passato. E’ più di un semplice ricordare, perché viene dal cuore e non dalla mente: è piuttosto la chiave che sblocca la memoria, la scintilla che avvia il motore.

Ecco: di “Dal momento che”, esordio lungo per Overdub Recordings del quartetto campano Cosmedia, sono bastati i primi 7 secondi – lo dice anche la nota pubblicità di un’auto – a riportare in superficie le vestigia di suggestioni sepolte sotto la coltre degli anni. Un salto a sei, sette, forse anche otto lustri fa, quando iniziavi a masticare la musica che ti avrebbe poi accompagnato fin qui, tra mille deviazioni, ma senza ripensamenti. E’ un quid che hai nelle ossa, sottopelle, in the back of your mind o dove credi, poco conta: fa parte di te, lo ami.

Il suono – ah, il suono! Quel flanger, che è già una dichiarazione di intenti fin dalle primissime misure – di “Impossibile da amare”, scintillante opener di un album che merita invece nostalgico amore incondizionato, non può non ricondurre a fasti new wave, poco importa se nostrana anni Ottanta o figlia di mr. Smith & soci. La differenza sostanziale con quel mondo lontano, che vive oggi quasi esclusivamente nel revival e sembra così alieno rispetto a mode e tendenze imperanti, risiede in un mood sì afflitto, ma carezzevole, una miscela ben amalgamata di amarcord e sussulti baggy (“In discoteca”), in equilibrio affatto precario tra distanze temporali importanti.

Alla fine, è pop. Un pop mediamente triste, che ha ritmo e melodia, è garbato e mai cattivo, al limite pungente (“Jacopo”). Trova groove incalzanti, testi introspettivi, qualche singalong memorabile (“Marzo ed io”), gioca coi synth, azzecca riff accattivanti, si spinge solo di rado fuori da una comfort zone che è accogliente quanto basta a regalare momenti intriganti e ritornelloni da cantare senza farsi del male. E’ un disco che fieramente si crogiola in atmosfere d’antan, ma che non rinuncia a guizzi furbetti in un milieu più vicino all’it-pop d’attualità (la deliziosamente autocelebrativa “Dinamiche”), concedendosi la fragile melanconia di “Saudade”, la chitarra secca e nervosetta di “Magari”, la chiusura morbidissima di “Puzzle” su un’aria mesta à la Niccolò Contessa, sublimata dall’ennesimo chorus efficace e adatta indifferentemente a ieri o ad oggi, ché i sentimenti non invecchiano quasi mai con l’età. (Manuel Maverna)