DIRTY SOUND MAGNET "Dreaming in dystopia"
(2023 )
Quello che mi intriga come recensore è quando impatto artisti che esprimono un genere che non riesci a definire neanche dopo reiterati ascolti e, soprattutto, quando t’accorgi che vige una spiccata personalità nell’immettere variabili in continuo divenire.
Almeno, è questa la considerazione primaria che mi sono fatto del trio svizzero dei Dirty Sound Magnet, che toccano il traguardo del quarto album con “Dreaming in Dystopia”, foderato di 11 brani gagliardi e sorprendenti.
Orbene, l’impasto base è rock ma, come anzidetto, vi troverete a deliziarvi dell’ampia fantasia stravagante dei Nostri, con atmosfere degne di musicisti esperti e desiderosi di esiliare il cazzeggio per donare contesti ponderativi e profondi, senza obliare quel pizzico di follia che non guasta in “The tragedy of men”, o nella stessa “Dreaming in Dystopia”.
E se con “Flowers, Angels and Chaos” la band strizza l’occhio al blues, ecco che la bizzarria pura s’affaccia nella dolente “Utopia” e nell’arpeggio capriccioso di “Lost my mind”, mentre in “Lonely bird”, e in altre occasioni, lo stile vocale del leader Stavros Dzodzos (stravagante anche nel nome!) rasenta quello di Damon Albarn (Blur).
Tuttavia, oltre a queste portate, ne troverete altre stellate, da “nouvelle-music”, nelle quali i tre chef elvetici han saputo guarnire un album tipo semi-freddo, tanto gustoso quanto servibile anche fuori stagione. (Max Casali)