ROBERTO BENATTI "Aspettando Ribot"
(2023 )
Racchiuso in dodici brevi brani e trentuno minuti di musica scheletrica ed essenziale, eppure così intensa e pregna di armonia, spunti, idee e vignette che sono poco meno di storie, poco più di schizzi, sta tutto il mondo di Roberto Benatti, artista lecchese trapiantato a Milano, contrabbassista dell’Orchestra del Teatro alla Scala, cantautore sui generis che sarebbe riduttivo definire indefinibile.
Autoprodotto, composto e suonato in quasi perfetta solitudine con il solo ausilio della fidata chitarra e di Silvia Foti come seconda voce in alcune tracce, “Aspettando Ribot” è un debutto tanto sobrio nella forma quanto paradossalmente opulento nella sua sottile ricercatezza, mai ostentata né sfacciata, figlia piuttosto di una scrittura colta ed elegante, profondamente attenta a cogliere ed esaltare dettagli minimali, ergendoli a fulcro della narrazione.
Il continuo, reiterato, insistito name-dropping – a livelli di Vincent Delerm o Niccolò Contessa - edifica un piccolo mondo di personaggi e luoghi reali attorno ai quali gravitano sentimenti e ricordi, in un caleidoscopio di inusitata ricchezza immaginifica; vivace e pungente a dispetto della veste confidenziale, l’album assume toni naif ed un disincanto quasi fanciullesco, conservando intatti un raccolto intimismo ed uno sguardo acuto e penetrante sulle piccole cose. Un gesto, un paese, una camera con vista diventano la parte per il tutto, la finestra su un brulicante microcosmo adagiato su morbidezze acustiche in cui l’approccio vocale rimanda sì una forte eco di De André, ma richiama Claudio Lolli come Stefano Rosso, Lastanzadigreta o l’ultimo Alessandro Fiori.
In un itinerario che va da San Siro a Sesto San Giovanni, da QT8 ad Airuno, passando per la dotta divagazione di “La mia parte” e per il singalong irresistibile di “Tu dove sei”, sfiorando Flavio Giurato nel mix italo-inglese di “Saluto a QT8” o concedendosi il divertissement de “Il valzer degli animali di papà”, in un registro pacato, straniante e vagamente stralunato Benatti ricama una trama di garbata raffinatezza, da cui origina un lavoro suggestivo ed evocativo, una rassegna di piccoli fragilissimi film accompagnati da voce, chitarra e molto, molto altro. (Manuel Maverna)