recensioni dischi
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CHROMB!  "Cinq"
   (2023 )

Oh, finalmente qualcosa che suona nuovo per davvero, e folle al punto giusto. Il quartetto francese Chromb! (il punto esclamativo fa parte del nome), è attivo da dieci anni e ha già pubblicato cinque album. Il quinto si chiama giustamente “Cinq”, uscito per Dur Et Doux. Cos'è, chiptune? Jazz? Rock?

Allora, nell'economia di questi brani, i sintetizzatori sono molto importanti, accanto alla sezione ritmica di basso e batteria. Poi c'è il sassofono, e le voci di tutti e quattro, che armonizzano dei cori tanto soffici quanto stranianti, come nel pezzo di chiusura “Et des coteaux”, dove le progressioni sono insolite, ma l'intenzione è da ninna nanna. La batteria non permette di addormentarsi. L'album inizia con “Fredilippe”, dove sembra che i quattro energumeni abbiano saccheggiato una consolle 16bit, recuperando suoni di Super Mario, per ottenere una specie di musica new wave sui generis.

Una voce che canta solenne apre “La Cérémonie”, dove il basso si avvia in un tappeto rapido e martellante di note mute. Il brano si regge su una contraddizione musicale: basso e percussioni elettroniche vanno in una direzione ruvida, per così dire “industrial”, anche se non è il termine più pertinente; mentre le voci, le tastiere e la costruzione armonica sono molto tenere, con suoni da glockenspiel e atmosfera sognante.

Leggete bene il prossimo titolo: “Roupoutoum contre Routoupoum”. Sembrano due personaggi quasi uguali, come Dupont e Dupond di Tin Tin, e come prima anche qui convergono due elementi contrapposti: il basso sferraglia assieme ad una batteria energica, mentre le tastiere continuano a saccheggiare i Game Boy, coi loro suoni synth vintage. L'esito è simile a quello, esplosivo, di un live dei Polysics, anche se meno punk. Non conoscete i Polysics? Ascoltate “Life in yellow” e capirete che intendo.

Il sassofono NITRISCE in “Pauvre Brobre”, tra urla moleste, melodie eseguite in maniera lancinante, e suoni disturbati. Ecco la loro “zornata”, riferendomi a John Zorn nei suoi Naked City. L'onirica “Le Prince” fa cozzare un groove di basso e batteria, con un ritmo alla tastiera completamente diverso, e più che poliritmia sembrerebbe proprio caos. Un esempio italiano di questa discrepanza ritmica, sta in un'allucinata canzone degli Elio e le storie tese: “Acido lattico”. Verso la fine, chitarra, basso e batteria suonano un rock dritto, mentre la tastiera fa delle terzine ad una velocità minore, per cui va “fuori tempo” rispetto agli altri.

“Rongongonfre” sembra un'onomatopea. Qui, il riverbero crea la parvenza di un rumoroso motore. Dal caos, si passa a continui e repentini cambi di situazione: una specie di disco, una specie di, come lo definiscono loro “rock senza chitarra”, passaggi obbligati all'unisono, elettronica che sfiora la techno, con voci che da moine diventano grida da rave party...

Se non avete capito cosa ho scritto, beh, è perché io non ho capito cos'ho ascoltato. E questo è un ottimo segnale di creatività, e di capacità di sorprendere, e tenere le orecchie legate fino alla fine dei brani, per scoprire cosa capiterà! (Gilberto Ongaro)