recensioni dischi
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CARL 666 GUSTAF  "Claim"
   (2023 )

Due figure centrali nella scena metal svedese ed europea come il tastierista Carl Westholm (Carptree, Avatarium, Krux Candlemass) e come il bassista Gustaf Hielm (Pain of Salvation, Meshuggah, Tiamat) uniscono le forze per un disco sperimentale, di ampio respiro, che attraversa più declinazioni del genere e più generi insieme, tra industrial, avanguardia e drone. In Claim, uscito per Thanatosis Produktion, non si concentrano sui loro strumenti “d’origine” quanto su sintetizzatori, drum machines e altri macchinari elettronici che contribuiscono a creare un panorama sonoro lunare e imprevedibile.

La collaborazione tra due veterani del metal e dell’industrial come Carl Westholm e Gustaf Hielm non poteva che instillare nei conoscitori dei due e negli appassionati del genere una curiosità estremamente viva e aspettative altissime. Claim non lascia insoddisfatti: è una corsa negli anfratti più bui e inquietanti della nostra psiche nella quale si divertono, sapienti e maliziosi, i due, tra attacchi sonori sconvolgenti che attraggono e spaventano al tempo stesso. Bastano pochi esempi del caso, episodi centrali come la fredda “The Magpie”, che si incunea in una serie di vibrazioni sinistre e di ritmi spiazzanti, o come la sperimentale e dissonante “Trepinhead”, col suo incedere zoppicante in un deserto postmoderno di silenzio e di paura, per comprendere quale sia il mood di un disco che è avvincente e ben orchestrato, prodotto di una coppia di artisti affiatata e versatile che mantiene anche un certo “spazio di movimento” per le singole idee dei due soci.

Tragico e gelido è spesso il sentimento che attraversa i pezzi di Claim, sette gradini scivolosi che attirano l’ascoltatore verso mondi e panorami possibili che spesso non sono affatto rifugi sicuri. L’alienante “1914” è esempio perfetto del percorso che Westholm e Hielm provano a intessere magistralmente dall’inizio alla fine dell’opera, un filare la lana concentrato e continuo, che porta i fruitori del progetto in un universo parallelo da cui è difficile uscire. Siano le pieghe elettroniche astratte e turbinanti della post-industriale “Remnants of Ancient Infrastucture” o gli echi di Psychic TV prodotti dalla gotica “Trephined”, il mondo che Claim dipinge non è solido né tranquillo; è, piuttosto, un luogo fragile e decadente di cui possiamo osservare il lento sgretolamento.

Claim, pur complesso e stratificato come nelle intenzioni dei suoi due autori, è un disco che contemporaneamente conquista e convince sin dai primissimi ascolti, concettuale e sincero nelle immagini mentali e nei contesti sonori che produce e che edifica, un progetto ambizioso che non è la semplice unione di due ottimi musicisti ma è una riconsiderazione di loro stessi, un ripartire di nuovo, non una somma delle due parti ma una costruzione da capo di un complicato tessuto di idee e di invenzioni. (Samuele Conficoni)