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PARCHMAN PRISON PRAYER  "Some Mississippi sunday morning"
   (2023 )

“In prigione, in prigione, e che vi serva da lezione!” cantava un geniale e caustico Edoardo Bennato, nel 1977. Ma è un'esperienza assai più seria, sentir cantare chi è veramente in carcere. “Some Mississippi Sunday Morning”, il nuovo lavoro del producer Ian Brennan, è uscito per la Glitterbeat Records, sotto il nome Parchman Prison Prayer. Questa è la preghiera del grande penitenziario di massima sicurezza Parchman, fondato nel 1901 nel Mississippi.

Si tratta di quindici tracce, registrate all'interno della cappella di Parchman, dove i detenuti che hanno voluto partecipare hanno cantato degli standard gospel, spesso formati da una frase devozionale, ripetuta più volte. Sapete, quando si dice quel cliché sul blues, che chi lo canta esprime la sua sofferenza; ecco, qui non è un cliché, devo dire che dopo questo ascolto, mi sento di dire che questo è senza dubbio il “vero” blues, quello autentico.

I cantanti inizialmente erano riluttanti. Dopo un volontario che si è offerto, gli altri si sono fatti coraggio e l'hanno seguito. La maggior parte dei brani sono a cappella: una voce nel vuoto. Ma si sente che quando è il turno di ognuno, anche gli altri sono lì presenti, in attesa. Ad esempio, in “I give myself away, so you can use me” (uno dei brani più toccanti), dove la voce è accompagnata da mesti accordi di pianoforte, si sente che a metà registrazione, gli altri si sentono coinvolti, e iniziano ad intonare il brano da lontano. Brennan è riuscito, in quelle poche ore in cui gli è stato concesso di essere lì, a testimoniare non solo le doti vocali e interpretative, ma anche le emozioni di tutti.

Nel comunicato stampa si leggono i nomi, di chi ha voluto che il proprio nome comparisse (uno ha chiesto di restare anonimo), e le età: 29 anni, 73, 36, 52... e i cantanti erano sia bianchi che neri. La musica ha realizzato un'integrazione effettiva, laddove solitamente i detenuti vengono tenuti separati, a causa delle tensioni razziali.

Il progetto di Ian Brennan prevedeva solo voci soliste. Ma erano presenti l'organo, la batteria, il basso ed un pianoforte, e così sono partite spontaneamente delle session, come quella che chiude l'album, “Lay my burden down”, dove la coda allungata al finale regala un'energia debordante.

Schiocchi di dita, graffiati vocali da brividi, e battiti di mani esclusivamente in levare (italiani imparate!!! Così si fa groove!). Per “Solve my need”, c'è la voce dal registro più grave, che canta una singola nota prolungata bassissima. Brennan ha ben pensato di riempirla di riverbero, creando un'intera atmosfera con la sola sua voce. In “Locked down, Mama prays for me” uno si cimenta in un rap, dedicato a sua madre, alla quale chiede scusa per ciò che ha fatto.

Noi non sappiamo che crimini abbiano commesso L. Stevenson, M. Kyles, C.S. Deloch, N. Peterson, M. Palmer, A. Warren, J. Sherman, L. Brown e D. Thomas. Ma le loro voci ci fanno percepire il lato umano, il dolore trasmutato in arte, e il loro spirito rivolto più volte a Jesus. Possiamo credere o non credere, e avere certe idee o altre, sulla giustizia. Ma, di fronte a un'esperienza musicale e umana del genere, l'unica risposta è il silenzio. (Gilberto Ongaro)