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GIUSEPPE MAGAGNINO  "After the rain"
   (2023 )

Nuovo album di Giuseppe Magagnino, “After the rain” è uscito per GleAM Records. L'LP incrocia le diverse intenzioni del pianista e compositore, che si alterna fra jazz e blues, e fra brani di sua penna e reinterpretazioni di standard e anche di pezzi pop.

“Dancing with shadows” apre l'album con sentimento, insieme all'ARTeM String Orchestra, che accompagna il trio piano-contrabbasso-batteria (due violini, viola e violoncello, arrangiati e diretti dal maestro Alessandro Quarta). Di “But not for me” di Gershwin, vengono esaltate le peculiarità ritmiche, il suo alternare tempi pari e dispari, con i rubati. Poi Magagnino resta da solo al pianoforte, per una versione blues di “Blackbird” dei Beatles.

Tornando alle sue composizioni, “My prayer” è caratterizzata dal fatto che il tema venga suonato all'unisono da pianoforte e contrabbasso. “Jordu” di Duke Jordan ci riporta nelle coordinate classiche del jazz più scatenato, mentre il brano originale “Aftermidnight” si tinge di gospel, con il suo groove che storicamente ha sorretto il soul e più avanti il funk. Quello che in gergo tutti i musicisti chiamano “tiro”, parola forse poco tecnica, ma comprensibile da tutti. Qui i musicisti hanno un bel tiro!

Poi è il momento di tirar fuori un altro classico, da una figura iconica come quella di Thelonious Monk. All'inizio, “Ask me now” viene eseguita con una pulizia forse quasi troppo scolastica; sembra di percepire la soggezione di Magagnino, nei confronti del gigante, per il quale si trattiene. Poi, sul piano... pian piano, si libera nell'improvvisazione, prediligendo soluzioni intimiste, ma non per questo meno virtuose. È una versione che trasmette l'emozione del pianista, nel suonarla.

E la titletrack? “After the rain”, dopo tutto questo jazz e blues, raddrizza il ritmo della batteria, perché è composta come un lento rock. Quarta aggiunge al brano un arrangiamento per l'orchestra che gli dà un sentore quasi nuovamente da Beatles; come fosse la sua “Something”, per capirci. Al centro del brano, Magagnino comunque ci caccia un assolo, ma ciò che resta impresso sono quegli accordi da ballata in 6/8, suonati sopra il tempo della batteria in 4/4, assieme ai commenti degli archi che la rendono una tenera canzone d'amore senza parole.

Gershwin, Beatles, Jordan, Monk, cosa ci possiamo mettere ora per chiudere questo disco in maniera coerente? Ma certo, i Radiohead! Ecco dunque la tenerissima “No surprises”, trasformata in un pezzo ancor più tenero per pianoforte. La melodia di Yorke si presta bene ad essere suonata, anche senza le sue parole al monossido di carbonio. La fase d'assolo rispetta la dolcezza del brano, non la trasforma in una sua parodia; è fatta con gusto.

Un critico purista dei concept album, scriverebbe che non si capisce dove quest'album vada a parare. Perché sì, sono tante idee tutte interessanti, ma che insieme non indicano una direzione precisa. Vuoi comporre per piano e contrabbasso all'unisono? Vuoi fare i classici jazz? Vuoi fare jazz sui brani pop? Scrivi gospel e rock? “È evidente che le idee non sono chiare”, direbbe. Ma siccome io non sono purista dei concept album, anzi amo la confusione e i contrasti, sono sempre a favore di queste scelte.

Cioè di quando un artista decide di dare voce a tutte le proprie idee, anche se contraddittorie – anzi, in virtù di quello – per non dover dimostrare di fare un compitino. Quando un compositore si esprime liberamente e sinceramente, fa proprio questo: realizza tutto, lasciando perdere la forzatura della coerenza, che è disumana, e fa vivere le proprie sfaccettature. Abbiamo più anime, ed è giusto farle risuonare tutte. (Gilberto Ongaro)