recensioni dischi
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MARTIN KÜCHEN & SOPHIE AGNEL  "Detour tunnels of light"
   (2023 )

Dentro una chiesa in Svezia, improvvisare con un sax sopranino, un pianoforte rotto e delle percussioni. Un secolo fa dicevano che il jazz era la musica del diavolo. Ma questo è oltre il jazz, perché rientra in quella scena di improvvisazione totale, priva di un tema di riferimento o di schemi ritmici. Nelle nazioni scandinave, in questi anni ho appreso che esiste una consolidata realtà, per questo tipo di performance. E qui parliamo di Martin Küchen e Sophie Agnel, che con i suddetti strumenti realizzano “Detour tunnels of light”, uscito per Thanatosis Produktion.

“Detour” dev'essere la parola chiave di tutto, e cioè “deviazione”. Küchen e Agnel non sono di primo pelo in queste operazioni, ma ogni volta che le compiono, l'esito non è quello che ti aspetti dai lavori precedenti. La creatività è costante. Quelle che ho chiamato “percussioni” prima, sembrano per lo più quasi sempre oggetti non convenzionali, monete tintinnanti, carillon, barattoli, e forse... superfici rotanti? Pascal Battus, per caso ti sei nascosto tra questi due? (Cerca http://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=9135 per capire il riferimento).

Anche il pianoforte è utilizzato nello stesso modo in cui sono utilizzate le percussioni. Cluster aguzzi, piccole melodie improvvisate e delicate, salti isterici sui tasti più acuti, come in “The Gould Passage”.

La differenza tra questo disco, e quello di un dadaista, o di un jazzista free aggressivo, sta nell'esecuzione, nello spirito con cui prende forma la performance. Qui non c'è intenzione dada, umoristica o nichilista; non c'è la voglia di dissonanza rumorosa del free jazz.

Questi “Tunnels of light” mostrano una voglia di costruire un preciso vocabolario di suoni e rumori, che in astratto realizzano un discorso emozionale, fatto di interazioni tra i due musicisti. Non è un esperimento fatto in camice e con lo scopo di osservare i dati ottenuti, è una performance dal vivo, incisa su disco. In una chiesa in Svezia.

L'intenzione chiara è quella di trascendere la materia concreta degli strumenti stessi, ma anche quella acustica e immateriale del suono, portando la musica a una dimensione altra, un iperuranio dove potremmo mettere piede più spesso. (Gilberto Ongaro)