recensioni dischi
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ANGUS MC OG  "Cirrus"
   (2023 )

Con il nuovo azzeccato lavoro di Angus McOg, grazie a una voce che non manca di suscitare emozioni e soprattutto ad atmosfere di sicuro impatto ed effetto, supportate da costruzioni melodiche mai banali (anche se le note sono 7 e tante sono), eccoci ad affrontare il terreno peraltro molto affollato del cantautorato folk rock.

Ma le etichette e le definizioni di comodo stanno strette al caso di questo artista, che merita attenzione e promette ulteriori sviluppi. Angus è italiano, di Modena, non anglosassone come il nome indurrebbe ad intendere. Il nuovo disco "Cirrus" esce in contemporanea in Italia e nel Regno Unito e non possiamo non augurargli buona navigazione e un meritato successo, anche se sappiamo che per la musica di qualità, col tappeto sonoro orripilante che ci circonda, è difficile emergere. Ma un artista di tale caratura ha le facoltà necessarie per tenere duro.

Il disco esce per la label Murmur Music (Audioglobe) e in UK per Gare Du Nord. Se il titolo dell'album avrà procurato qualche solletico ai fan dei Pink Floyd (indimenticabile la loro "Cirrus minor" dalla colonna sonora del film "More" e poi cavallo di battaglia per i live di quel periodo), il riferimento di McOg come esplicitato anche dalla copertina è ad un fenomeno meteorologico che evoca contemplazioni e slanci romantici, ossia i cirri, che sono le nuvole più in alte nel cielo, che con i loro piccolissimi cristalli di ghiaccio attraversati dal sole sono lenti attraverso le quali la vita appare meno grama.

Non fa sconti alle percezioni il buon Angus, sa essere schietto e dinamico quando occorre, e dotato di slancio positivo e propositivo anche quando indulge alla contemplazione e alla malinconia. Un disco insomma molto umano ed analogico in tempi di intelligenza artificiale e digitalizzazione sfrenata.

Non a caso le canzoni sono in molti casi realizzate in sala prove e registrate in presa diretta: chitarra, piano, basso e batteria, con l’aggiunta delle linee di tromba o armonium e un pizzico di synth a completare l’affresco. Non è affatto un disco monocorde ma composito, a tratti sorprendente per le svolte che sa imprimere all'affresco complessivo. Con pennellate semplici ma efficaci sa rappresentare sonoramente un mondo di percezioni e sentimenti che si sedimentano nella memoria dell'ascoltatore (basti che sia un minimo ancora percettivo e non abbia i villi dell'ascolto piallati dalla melassa sonora imperante).

Attenzione però che non siamo di fronte a un disco accomodante e piacione, che strizza l'occhio alle mode o va programmaticamente controcorrente: qui ogni nota, ogni sfumatura, ogni inflessione, ogni curva del sentiero è meditata (si sente che il nostro ha studiato - dalla psichedelia al prog fino a Bjork - e anche parecchio ma non lo sfoggia con fare da secchione), ogni cosa insomma è messa al posto giusto ma sembra ci sia arrivata per forza di levare, con il piacere del fare bene, con quel senso della misura che fa percepire le cose realizzate nel piacere di creare e che creano piacere in chi a sua volta le percepisce.

Un disco che merita pertanto più di un ascolto e non una rapida consumazione al bancone, non è un disco da una botta e via ma che merita buone orecchie e buone cuffie e se possibile un ascolto rilassato e calmo. Il disco giusto per la ripartenza dopo l'orgia di caldo estivo e le vacanze, per non farsi sopraffare dalla noia, considerando peraltro che Sanremo, se Dio vuole, è ancora lontanissimo all'orizzonte? Per il vostro affezionatissimo sì, e conferisce ad Angus un meritato e felliniano 8 e mezzo. Brano migliore IMHO: Say my name. (Lorenzo Morandotti)