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GIOVANNI TOMMASO QUARTET  "Walking in my shadow"
   (2023 )

Il titolo rappresenta la scelta che sorregge l'album: uscito per la Parco Della Musica Records, “Walking in my shadow” ripercorre la vita di Giovanni Tommaso, attraverso la reinterpretazione di alcune sue composizioni. E per non essere l'ombra (ingombrante) di sé stesso, lui che ha suonato con Chet Baker, che ha fatto parte dei Perigeo, che è uno dei “4 di Lucca” e tanto altro ancora, ha cambiato veste ai propri brani, adattandoli alla formazione dell'album, composta nientemeno che da Rita Marcotulli al pianoforte, Javier Girotto ai sassofoni, e Alessandro Paternesi alla batteria.

Il cambiamento a volte è minimo, come nel caso dell'opener “Bassifondi”, che porta il jazz al suo stile più noto, lo swing, con la batteria che “scivola” con le terzine sul ride, il walking bass del contrabbasso, assoli di sax e piano, e il pianoforte che alterna accordi prolungati ad altri più staccati. Invece, con “Brahmosia”, inizialmente incisa col trio “Bassoprofilo”, fisarmonica, contrabbasso e clarinetto, la differenza si sente, aumentando la sensazione onirica.

La performance saltellante della pianista risalta particolarmente in “To Totò”, tra ricercate dissonanze e una forte creatività, soprattutto dal punto di vista ritmico. Grande tensione apre “White keys”, su una nota grave prolungata del contrabbasso, per poi aprire a un'esecuzione volutamente traballante, per i primi due minuti: la batteria non costruisce un ritmo, ma alterna rullate e silenzi, creando questa sospensione disorientante. Dopo un momento di fff (fortissimissimo), ecco che la band si instrada in una corsa rapida. Il tutto è qui descritto in maniera fredda e matematica, ma l'ascolto è caldissimo: i musicisti ti sanno condurre dove vogliono loro, creando l'aspettativa.

“Cinema moderno” è la più sorprendente: si basa su cambi continui di tempi e ritmi, da dritti a swing, e nell'oscillare da un estremo all'altro, giocano con passaggi poliritmici. Il risultato è quasi isterico, nella sua alternanza, ed è quello che gasa. Sembra uno che dice: “Sto bene, sono tranquillo, non mi toccate che sono nervoso, che pace dei sensi, giù le mani basta, ti abbraccio amico mio!”.

Il sax soprano intenerisce con il tema del successivo “Codice4”, ma il brano a metà si ferma, per diventare uno spazio solista di Paternesi, che utilizza piatti e fusti in maniera espressiva e aritmica. La prima ripartenza è possibilmente anche più dolce dell'inizio, nelle sue progressioni, dopodiché rieccoci nello spazio percussivo libero, con il rullante spazzolato a cordiera chiusa. E infine, ecco l'assolo del padrone di casa, che fa sentire come il contrabbasso sappia essere melodico.

Si balla con “Sea Side”, virtuoso pezzo vivace dai richiami latinoamericani. Anche qui, al momento dell'assolo di contrabbasso, caspita, ad un certo punto viene da canticchiarlo, da come si fa capire, ed intuire come proseguirà. “La prima volta”, se è la prima volta a cui sto pensando, è ben rappresentata musicalmente, nella sua timidezza mista ad agitazione, tramite un tempo lento e scandito, condito da un assolo rapidissimo di pianoforte. Anche il sax è estremamente espressivo, nel suo essere romantico senza cadere nel cliché; che è un po' un campo minato, il romanticismo per i sassofonisti...

In chiusura dell'album, c'è un saluto al secolo per antonomasia del jazz: “Good bye Novecento”, che conclude con gentilezza un album di professionisti, cesellato con cura in ogni dettaglio della performance: in poche parole, non c'è posto per la noia, ogni momento è trattato come un evento, quindi il quartetto riesce a mantenere il senso del presente, ad ogni riascolto dell'album. Altro che “ombra” del passato. (Gilberto Ongaro)