recensioni dischi
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YARAKA  "Curannera"
   (2023 )

Questa musica proviene da Taras, antica città fondata dagli spartani, ai tempi della Magna Grecia. Oggi la chiamiamo Taranto. Gli Yaràkä sono un trio che va alla riscoperta delle tradizioni e dei dialetti, con molta attenzione all'etimologia delle parole che scelgono (a partire dal significato del loro nome, che in una lingua amazzonica unisce i 4 elementi fuoco, terra, aria ed acqua).

La strumentazione che utilizzano però non è precipuamente tarantina: accanto al tamburello, ci sono percussioni provenienti da tutto il mondo, sempre in quell'ottica per la quale le musiche etniche, anche se originarie da latitudini e longitudini distanti, si avvicinano nella stessa intenzione, nello stesso desiderio di trascendere.

Uscito per Zero Nove Nove, l'album “Curannera” ci fa ascoltare otto brani, dove la lingua ci trasporta dalla Puglia alla Sicilia, passando per la Basilicata. Visto che sto scrivendo dal Veneto in uno strano periodo di luglio, dove si alterna un esagerato caldo afoso a violente grandinate e bufere, segnalo “Maletìmbe” come di assoluta attualità. Canta del solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno, nel quale gli avi lanciavano il pane in cielo, invocando San Giovanni in un rituale di protezione del raccolto. Non riuscendo a cambiare le abitudini dei ricchi industriali, che ci stanno lentamente distruggendo, meglio invocare 'u santo!

Troviamo un altro rito in “Draunara”, passando dai pescatori siciliani alle prese con le trombe marine: “Dentru lu mari c'è un serpenti”. C'è un collegamento tra Sicilia e Romania con “Chiuviti”, entrambe condividono un rito simile contro la siccità, una danza della pioggia. Essendo pensati per danzare ritualmente, i brani per lo più sono scattanti e festosi. Fa eccezione a metà album “Tuppe tuppe (Laude drammatica)”, che si basa sulla musica della marcia funebre di Cacace, con la voce che incarna la sorte di “Maria la sventurata”.

Con gli Yaràkä rivive un repertorio sciamanico, che ci riallaccia alla saggezza popolare antica. (Gilberto Ongaro)