recensioni dischi
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CAMEL  "Rain dances"
   (1977 )

Ricordo era il lontano 1982, ed il 6 settembre alla Festa dell’Unità di Tirrenia si esibivano in concerto niente meno che i Genesis. Inutile dire che sotto il sole cocente (eh sì, pure allora d’estate, strano ma vero, faceva un gran caldo e c’erano temperature sahariane) me ne stavo già lì dal primo pomeriggio appena aperti i cancelli per aggiudicarmi una “prima fila” seduto per terra nel prato. Che c’entra tutto ciò con i Camel? Beh, c’entra eccome almeno nei miei ricordi personali.

Da assiduo lettore della rivista Ciao 2001 mi capitava spesso di leggere articoli su questi a me sconosciuti Camel, che la critica del tempo accomunava ai Pink Floyd del post ''The Dark Side of the Moon''… “dé, e che palle con questi Cammelli”, detto alla livornese. Capita che all’interno della festa c’era una bancarella molto nutrita che vendeva LP. In attesa di entrare sul prato dove si sarebbe svolto il concerto dei grandi Genesis, curiosavo tra tutti questi bei dischi in vinile ordinatamente messi per ordine alfabetico e di genere.

Alla C mi ritrovo questi Camel… e basta, è una persecuzione, anche perché a me i Pink Floyd del dopo ''The Dark Side'' non hanno mai entusiasmato più di tanto, salvo certi circoscritti episodi (ben altra cosa, per chi scrive, i Pink Floyd dei primi album), figuriamoci una band che a detta della stampa gli “scimmiotta”.

Preso infine da una fastidiosa curiosità tra i tanti album a nome Camel, alla fine ne scelsi uno colpito dalla copertina e dal titolo (''Rain Dances'') che, chissà perché, da grande appassionato di musica country mi fece pensare a qualcosa del genere, anche se era chiaro che questa band col country non c‘entrava per niente, e mi dissi… ok vai, poi l’ascolterò. Quel poi tardò ad arrivare, tanto che quel disco finì nel dimenticatoio per un bel po’ di tempo.

Mesi dopo, in pieno inverno, riordinando la mia collezione di preziosi LP mi capitò tra le mani questo Camel – ''Rain Dances''; “eh no dé, ora lo devo ascoltare e poi lo venderò o regalerò a qualcuno, ma prima devo ascoltarlo altrimenti questi Camel mi tormenteranno per l’eternità”.

Metto il disco lato A sul mio piatto Linn, e quando la puntina della testina Audio Technica OCC9 inizia a far uscire con delicatezza i suoni vengo piacevolmente investito da ''First Light'', un brano strumentale di una meraviglia abbagliante dove i vari temi si susseguono tra sintetizzatori, sax e chitarre da favola sostenute da un drumming esemplare e da un basso micidiale.

Al basso Richard Sinclair, alla batteria Andy Ward… due mostri dello strumento a me allora sconosciuti, solo Mel Collins ai sax, presente come ospite, era nome a me già noto. Segue ''Metrognome'', in perfetto stile canterburyano, brano che parte con una sorta di nenia cantata a due voci per poi sfociare in un finale strumentale jazzato dove si palesa un altro mostro dello strumento, quell’Andy Latimer, leader della band, a mio parere uno dei più grandi chitarristi che abbia mai avuto modo di ascoltare e vedere in azione in più concerti dal vivo ai quali ho avuto la fortuna di assistere.

Terzo brano ''Tell Me'', crepuscolare, solenne seppur sussurrato, una salutare immersione nelle placide e limpide acque della serenità, un brano che, ascoltato ad occhi chiusi in pieno relax mentale, può far levitare la mente dal corpo come nella spiritualità della tradizione tibetana: potenza della musica. Atmosfera più solare e spensierata con la successiva ''Highway to the Sun'' che chiude la prima facciata.

La seconda facciata non è da meno ma vi dico solo i titoli altrimenti mi ci vogliono 20 pagine per descrivere questo meraviglioso capolavoro. Molti affermano che il valore di un album o di un musicista si misura soltanto coi numeri, in sostanza dicono che quelli che arrivano a decine, a centinaia di milioni di persone hanno valore a prescindere, tutti gli altri no; ma sarà vero?

Forse sì ma solo in parte, direi piuttosto che ci sono una infinità di fattori da prendere in considerazione per valutare un’opera artistica e attribuirle la giusta valenza. Bisognerebbe riflettere a fondo su questa cosa, non è di certo un automatismo giudicare capolavoro un album che ha venduto 100 milioni di copie e spazzatura insignificante uno che di copie ne ha vendute solo poche decine di migliaia; potrebbe anche essere vero il contrario e di esempi, ne converrete con me, ce ne sono non pochi.

Chiusa parentesi, torniamo a ''Rain Dances''. ''Unevensong'' apre il lato B, segue l’incantevole ipnotismo strumentale di ''One of these days I’ll get an early night'', poi l’estatica, volatile e commovente quiete di ''Elke'', anch’esso pezzo strumentale che vede ospite Brian Eno ai congegni elettronici, segue ''Skylines'' caratterizzata da un geniale quanto strampalato giro di basso, chiude ''Rain Dances'', sinfonica e malinconica.

Ogni songs dell’album è impreziosita dal certosino lavoro alle tastiere del compianto Peter Bardens, il quale si prodiga con alchemica fantasia e modestia esecutiva per dipingere coi colori dell’arcobaleno i contorni di ogni singolo episodio e quando serve con tinte soniche dai chiaroscuri avvolgenti e penetranti.

Conclusione: possiedo tutta la discografia dei Camel sia in LP che in CD, mi sono innamorato di questa band fino a porla in cima alle mie preferite. (Moreno Lenzi)