RENATO ZERO "EroZero"
(1979 )
Il 1979 rappresenta l'anno della definitiva consacrazione di Renato Zero. E questo album ne è il motivo. Dopo inizi stentati e coraggiosi, dopo che solo l'ostinazione di questo borgataro preso a sassate per il suo modo di vivere l'aveva tratto dall'anonimato, dopo che con due dischi eccellenti come "Trapezio" e soprattutto "Zerofobia" aveva precisato un proprio riconoscibile stile, con "EroZero" Renato passò alla cassa. I "sorcini" esistono già e sono una truppa che va ingrossandosi di giorno in giorno: c'è solo da mantenere questo patrimonio di consensi con un disco che sia condiscendente con il grande pubblico che sta arrivando, ma che non tradisca quanti avevano apprezzato il coraggio di "No mamma no" e "Invezioni". Mica una cosa semplice. Dopo il successo di "Zerofobia" e "Zerolandia", nessuno pensa più al musicista come a un personaggio che veste di lustrini e paillettes per "fare colpo", che fa il verso a David Bowie o ad Alice Cooper: i suoi fans vedono in lui quello che c'è oltre la maschera ed i trucchi ed eleggono Zero come punto di riferimento, non solo artistico, ma anche e soprattutto umano. Gli adolescenti italiani, che non si riconoscono più nei cantautori storici degli anni '60, né in quelli politicizzati degli anni '70, si trovano in perfetta sintonia con la retorica di Fiacchini. Una retorica dei buoni sentimenti che negli anni successivi avrebbe conosciuto anche clamorose cadute nello stucchevole, ma che in quel momento funziona. E funziona per un motivo semplicissimo: chi ama Renato Zero "sente" perfettamente che lui, in quello che canta ci crede davvero! Il trionfo del buonismo? Il trionfo del privato sul pubblico (allora su questo il dibattito era acceso)? Carrettate di sentimentalismo a basso prezzo? Non possiamo giudicare con gli occhi di oggi: il 15-16 enne della fine degli anni '70 sentiva attraverso il tg dell'assassinio di Moro e degli omicidi delle BR, in casa si tirava la cinghia per via dell'austerity, musicalmente veniva investito dal nichilismo distruttivo del punk: aveva bisogno di un'oasi, di un mare tranquillo, di qualcuno che gli dicesse che una possibilità, in fondo, poteva esserci. Non credo che Renato Zero abbia capito tutto questo e freddamente abbia deciso di dare ai ragazzini quello di cui avevano bisogno: sarò un buonista anch'io, ma preferisco pensare che lui fosse semplicemente la persona giusta al momento giusto e che le cose in cui credeva e che diceva, per combinazione, fossero quelle che i ragazzi volevano sentirsi dire. "Bella la vita!" canta ne "Il carrozzone", sostenendo: "I giovani non sempre credono nella vita, ma quando usciranno dalla mia tenda grideranno, me lo auguro, "Viva la vita". Roba che suona retorica solo se non accompagnata dalla sincerità che Zero allora indubbiamente esprimeva. In un modo o nell'altro, il disco fu un successo clamoroso, trainato dal primo posto lungamente mantenuto da un singolo, "Il carrozzone"/"Il baratto", del quale (al pari solo di certi 45 giri di Battisti o dei Beatles) non si capì mai quale fosse la facciata A e quale il retro. E trainato da alcuni slogan che rimarranno sempre legati al personaggio Renato Zero: "Il tuo destino non è nella ruota, ma nelle tue mani" ("La tua idea"), "Questo corpo è fragile, la mente no!" ("Arrendermi mai"), "Meglio fingersi acrobati che sentirsi dei nani" ("La tua idea"), "Bella la vita!" ("Il carrozzone")… Ma se gli anni 70 finivano in trionfo (e in trionfo cominceranno anche gli anni '80 con i successi di "Niente trucco stasera" e "Amico" dall'album "Tregua"), per molti anni, dopo, Renato Zero conoscerà inaspettatamente una crisi profonda di seguito e vendite che inizierà a vedere la fine solo attorno alla metà degli anni '90, prima con "L'imperfetto", poi, soprattutto con lo splendido "Amore dopo amore". Ma allora trucchi e vestiti stravaganti saranno già andati in soffitta, non così la sincerità a volte discussa a volte discutibile di Zero. (www.luciomazzi.com)