SIMONE FARACI "Mføku"
(2023 )
Alzi la mano chi, come il sottoscritto, è affascinato dalle retrovie, dagli spazi liminali, dai disimpegni nelle case, dalle note “backrooms”, quelle stanze gialle che qualche anno fa conquistavano l'Internet. Traducete quel fascino in musica, ed ecco “Mføku” di Simone Faraci.
Uscito per Slowth Records, questo non è un album, è un'esperienza. Dal punto di vista strumentale, c'è di tutto: elettronica (della miglior fattura, sintesi granulare, suoni tridimensionali), inserti orchestrali, field recordings di cicale prima e petardi poi, stratificazioni di parole sconnesse, sassofoni che diventano un ronzio di zanzare...
Qualunque elemento, anche se in contrasto con gli altri (anzi, proprio per quello), mira allo stesso obiettivo espressivo: il disorientamento, ma non quello del disagio esistenziale. Al contrario. Tra questi arpeggi impazziti e squisitamente vapor (come quelli in “Mføku II”), chitarre industrial, glissati d'archi da film horror, field recordings di cicale e cori di bambini, si crea uno spazio, per l'appunto liminale, dove è davvero esaltante rifugiarsi.
Forse può essere vista come una musica escapista; ma suvvia, ci sono già abbastanza cantautori che “ti sbattono in faccia la realtà” (e non tutti hanno la capacità di farne una catarsi purificatrice, semplicemente ti mettono di malumore per un quarto d'ora). Se l'arte non avesse la capacità di creare una realtà parallela, di svelare mondi diversi, osservando sì la realtà, ma spostando il punto di vista su zone non notate prima, generando il perturbante, a cosa servirebbe? (Gilberto Ongaro)