recensioni dischi
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CAPSIDE  "Ladyesis"
   (2023 )

La fortuna di essere anche musicista, oltre che scrivere di musica qui, è che a volte capita che ci si incontri dal vivo, prima di ritrovarsi qui. È questo il caso dei Capside. (Giustamente sottolineano che si pronuncia alla latina, com'è scritto. Non è “Cap side”, la “taglia del cappello”, ma proprio la parola “capside”, termine di medicina).

I Capside li ho visti nel 2019, nel contesto di Sanremo Rock. Sono una storica band sarda, per la precisione di Sassari, e fanno un progressive rock che si mischia ad un raffinato pop jazz. Voce, chitarra, tastiere, basso e batteria, il quintetto intesse un'impalpabile stoffa sonora, garantita dalla presenza frequente dell'organo Hammond, e della chitarra elettrica pulita, con arpeggi a volte jingle jangle, a volte con sentore à la Dire Straits. Solo che i tempi, come la scuola prog esige, a volte sono più imprevedibili che in una blues band. Cambi repentini di ritmo, di atmosfera eccetera.

Ma con le parole, così, potrei descrivere una qualunque prog band. E invece, ciò che contraddistingue i Capside, sono proprio quegli elementi NON prog, che si innestano nelle strutture prog. Il brano che fa da titletrack è suddiviso in due parti, e nella seconda, il ritmo incalzante è sorretto da una tastiera Wurlitzer, il suono riconoscibilissimo “dei” Supertramp, per capirci.

Veniamo ai testi. Metà sono riflessioni su argomenti quotidiani, come la stanchezza verso il grigiore e il conformismo (“Termiti”, “Un altro lunedì”), la ristrettezza di possibilità di chi vive in provincia (“Filastrocca di periferia”) e una dedica al figlio (“A mio figlio”). L'altra metà sembra collegarsi subdolamente, con quel vizio antico di fare un concept, o quantomeno avere un filo rosso.

L'album inizia con “Di notte (Ladyesis pt.1)”, che invoca i sogni, che “sono come voli verticali a braccia aperte per gonfiare i polmoni, precipitare in universi paralleli”. E “affidarsi alla propria immaginazione” porta alla successiva canzone, “Dea”, brano assolutamente epico, dove la cantante evoca il sacro femminino che è presente in ogni donna: “Quanto tempo hai passato a porti le domande sbagliate, senza mai fare i conti con la tua essenza”.

E, se queste sono le prime due canzoni, le ultime due sono: la seconda parte di ''Ladyesis'', e in corrispondenza a “Dea”, compare “Azazel”, dove la cantante si impersona nel misterioso demone ebraico. Dal considerare la Donna una Dea, ad evocare Azazel! Ribelle a livelli profondi dunque, mentre la band accompagna, anzi crea, il sogno musicale.

Cosa si può volere di più da una prog band! Sarò di parte (col prog lo sono sempre), ma per me quel Sanremo Rock 2019 dovevano vincerlo loro, lo dico anche se partecipavo pure io, con un'altra band. Invece, hanno vinto i (comunque bravissimi) Piqued Jacks, che quest'anno si sono fatti notare all'ESC. Ma qui c'è storytelling (quello vero, non le minchiate di social marketing), e tanta creatività! W i Capside! (Gilberto Ongaro)