recensioni dischi
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FLAME PARADE  "Cannibal dreams"
   (2023 )

Morbido sì, ma come la schiuma nella vasca da bagno: soffice ed inafferrabile, una tenue magia destinata a fluttuare nello spazio di un pensiero, lasciando traccia di sé in quella carezza che le hai regalato, che ti ha regalato.

E’ un po’ così “Cannibal dreams”, terzo album – in aggiunta a due ep – per il quartetto toscano Flame Parade, dieci brillanti anni alle spalle nel nome di una musica raffinata, così ben definita e strutturata da sembrare quasi un unicum nel panorama nostrano.

Pubblicato per Materiali Sonori con il prezioso contributo di Matilde Davoli – presente anche in fase di co-produzione – e con il featuring di Roberto Dell’Era nel trasognato rallentamento retrò di “Ballad of the ghost”, ha qualcosa dei più recenti Arctic Monkeys (“One of these days I’ll steal your heart”: semplice, notturna, perfetta), sfumature che rimandano ai Pond (“December”) o ai Badbadnotgood (il soul sui generis di “Loving (each other) a bit”), ma fa sfoggio di personalità senza citare né rubacchiare, conservando inalterata una verve compìta ed elegante.

Tra echi di Beach House (“Stay together”), suggestioni di Arcade Fire (“Mirror on the wall”), aperture in stile The Big Moon (“Dahlias”), canzoni melodiose e velate da un alone di malinconia definiscono i contorni di un lavoro dall’appeal smaccatamente internazionale, un milieu dove arie rarefatte ed intuizioni accattivanti convivono in avvolgente simbiosi. Si alternano alla voce Marco Zampoli e Letizia Bonchi, i cui crooning così profondamente differenti regalano peculiarità, ma preservano intatta l’anima – accogliente, gentile - di quest’arte eterea ed impalpabile: si incontrano in vibrante amalgama nel toccante duetto per pianoforte e piccole interferenze di “People”, si sfiorano e si separano, concedendosi vicendevolmente la scena o tenendola per sé, fondendosi nell’intreccio lounge di “South sunset”, lasciando infine che sia la magniloquenza della musica a glorificare il maestoso commiato di “This changes everything”.

Disco sontuosamente prodotto, rifinito con estrema cura nelle dinamiche e nelle sonorità, si muove sinuoso con misurata classe; ha movenze felpate e suadenti, sfrutta elementi e idee che sposano in sorprendente connubio tardi 80’s e derive attuali, in una mirabile rilettura aggiornata – penetrante, intensa - del dream pop che fu. (Manuel Maverna)