recensioni dischi
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BALLETTO DI BRONZO  "Lemures"
   (2023 )

Quando ho appreso la notizia dell’imminente uscita di un nuovo album di inediti del Balletto di Bronzo (Gianni Leone, voce e tastiere; Riccardo Spilli, batteria; Ivano Salvatori, basso), notizia che ho avuto la fortuna di ricevere direttamente dal loro talentuoso frontman Gianni Leone, la prima reazione è stata quella di incredulità, tanta era la sua portata: “troppo bello per essere vero!”.

Non sto affatto esagerando, e i cultori del progressive sanno bene di cosa parlo: l’attesa è infatti durata la bellezza di 50 anni dal loro album cult dei primi Settanta, ''YS'', che ha lasciato un segno indelebile nel nostro amato genere, nonché antesignano del filone denominato dark prog. A onor del vero, non si è certo trattato di mezzo secolo di silenzio discografico e tanto meno live, sia della band che di Gianni Leone come solista, essendo nel frattempo usciti diversi dischi (compreso libri e DVD), live album, materiale ristampato o revisionato, uno di questi (''Trys'', 1999) interessante e sui generis ma non paragonabile all’impatto e alla risonanza che ha avuto ''YS'' (ricordiamo, il primo con Gianni Leone, uscito dopo ''Sirio 2222'', buon disco di taglio beat-rock).

Premetto che fare paragoni fra questo nuovo disco targato 2023 e la loro opera progressiva giovanile, benché verrebbe spontaneo in quanto esseri dotati di una mente comparativa, sarebbe fuorviante: tutto cambia, tutto scorre attimo dopo attimo (il noto panta rei attribuito ad Eraclito), figuriamoci in mezzo secolo. Ma soprattutto ascoltare il disco “in tal guisa”, con sguardo retrò, farebbe prevalere schemi mentali che fungono da filtri rispetto alla pienezza della sua fruizione limitandone i vissuti hic et nunc, gli unici che contano e che possono (o meno) lasciare il segno.

Non a caso nelle sue interviste Gianni Leone, pur riconoscendo e apprezzando l’unicità e l’irripetibilità del florilegio di creatività artistica che ha caratterizzato “l’età dell’oro” del primo quinquennio seventies legata ad una complessa serie di fattori, mette in guardia dagli atteggiamenti nostalgico-passatisti che ingessano una band o la presunta “purezza” di un genere ad un determinato(i) album o periodo, dopo di che il diluvio. Occorre piuttosto fare come Giano Bifronte che, senza disconoscere il passato (nel caso le radici seventies), guarda al presente e al futuro.

Finalmente ''Lemures'' è nella mia affollata scrivania con l'artwork che ti aspetti, in linea col genere, molto ben curato e ovviamente a tinte "dark" con maschera-costume in primo piano (ideati e realizzati da Gianni Leone, autore di testi e musiche), espressione enigmatica, apparentemente ridente ma inquieta(nte), dove spicca un rosso vistoso in sottofondo nero e nome della band scritta in un bellissimo carattere che mi ha fatto venire in mente richiami stilistici di tipo sia gotico che barocco.

Compiuto il "rituale dello scarto" ben noto ad ogni musicomane (togliere il disco dall’involucro, dare una prima lettura ai testi, inserirlo nel piatto-lettore attendendo la giusta situazione per ascoltarlo, l’esatto opposto della frettolosa fruizione digitale), ecco partire il brano di esordio ''Incubo e Succubo'': solenne, dirompente, devastante, apocalittico, greve, apoteosico, tanto da far fatica a contenere la mirabilia di sensazioni ed emozioni che riesce ad evocare. E con gli altri otto brani si prosegue esattamente su questa inebriante scia fino a ''Il Vento Poi''.

Vi sorprenderò ma con la descrizione del disco mi fermo qua, scelta tranchant ma non certo casuale, dettata da quanto detto sul “set” di fruizione, ovvero sul ruolo (limitante) dell’eccesso di aspettative, frenesie di classificazione ed elenco dei riferimenti storici, insomma schemi predefiniti che non di rado finiscono per annoiare il lettore, per dare invece massima priorità all’insondabile caleidoscopio emozionale che ''Lemures'' è in grado di suscitare e che lascio a ognuno di voi scoprire, nota per nota, brano per brano.

Una considerazione finale: sono stato più guidato dalle “ragioni del cuore”, per dirla con Blaise Pascal, che da quelle della mente analitica? Ebbene sì, non lo nascondo. Chi ritiene che la nella musica, e nell’arte in genere, non domini la componente emotiva, dell’intuito, quindi della soggettività (fattori relativi, per intendersi, all’emisfero cerebrale destro, anche se questa sommaria distinzione è assai discutibile sul piano neurofisiologico e tuttora dibattuta in ambito scientifico), rispetto all’analisi logica e all’oggettività delle scienze esatte, alzi la mano. Non essendo fra questi, preferisco collocare ''Lemures'' nel lettore ed immergermi nel profluvio emozionale che è in grado di suscitare questa nuova perla progressive. Provate anche voi! (MauroProg)