recensioni dischi
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DANIELE DE GREGORI  "Cura"
   (2023 )

Recita un vecchio detto che “Chi trova un amico trova un tesoro”, ed immagino quanta verità ci abbia trovato dentro queste parole il cantautore romano Daniele De Gregori, già molto apprezzato nell’ambiente e testimoniato dalle vittorie in vari contest (Premio dei Premi, Lisolachenoncera ecc.).

Però, succede che tre anni fa il Nostro smarrisce la bussola dei propri slanci artistici fino a convincersi di non essere più all’altezza: ma ecco che, grazie all’appoggio fondamentale degli amici, ritrova lo sprone a riprendere in mano il timone creativo e tornare, cosi, sulla rotta giusta.

Mi viene da pensare (e non solo a me!) che, se non ci fosse stato quell’intervento salvifico, oggi saremo “orfani” di un artista puro, profondo, dotato di spiccata sensibilità, che scandaglia i fondali della vita estrapolandone i valori intrinsechi, obliando superficialità e leggerezza.

Oggi, Daniele aggiunge al suo ampio palmarès discografico un’altra perla come “Cura”, edito dalla Goodfellas: 8 brani che vanno contemplati in 3 atti, che non sono altro che gli anni impiegati per inciderli. All’apocalittica “Le case mangiate dal sale” spetta il privilegio di srotolare il progetto con una stesura allarmistica e consapevolmente concreta, mentre “Eleonora” è un episodio che rappresenta il fulcro centrale della vita di Daniele, che l’ha rispolverata dal cassetto e l’ha guarnita di notevoli spunti emozionali.

E la constatazione che le perdite che intervengono nel nostro itinere esistenziale sono, talvolta, dettate da eventi dozzinali, lo testimonia la dinamica “Qualcosa di me”, ricamata in spigliata elettronica. Dopo la futurista e distopica cover di “Il Re del mondo” (Battiato), affiora la voglia di leggerezza nella pop-ballad di “Cruise control”, con il braccio appoggiato al finestrino mentre si macinano chilometri on the road e si accumulano esperienze. Se queste, però, sono risultate sbagliate, non facciamo l’errore di considerarle semplici step di vita, e ciò Daniele lo evidenzia nell’accattivante “Sempre la stessa canzone”.

Dopo tante ampiezze esecutive, il finale Daniele se lo ritaglia nel comfort-corner di “Nebraska”, armato minimalmente con arpeggio classico e narrato accorato. Con nome e cognome all’apparenza ingombranti (Daniele è il cognome di Pino e De Gregori quello del “principe” Francesco), l’artista capitolino ci ha fornito riflessioni estese sulla gamma delle Cure che occorrono nel nostro vivere, tante volte banalizzate dandole per scontate.

Ed è per questo che i suoi racconti faranno bene non solo alle nostre ponderazioni ma, oltremodo, daranno lustro alla tenuta in vita del bel cantautorato tradizionale, per cui qualcuno aveva già recitato il suo “de profundis”. Ma non aveva fatto i conti con Daniele De Gregori. (Max Casali)