recensioni dischi
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AMP  "Echoesfromtheholocene"
   (2023 )

Da oltre trent’anni aperto ad innumerevoli collaborazioni, il progetto Amp, duraturo sodalizio tra Richard F. Walker e la vocalist francese Karine Charff, produce con incrollabile coerenza un post-rock algido, criptico, variamente contaminato.

A cinque anni da “Entangled time” e a ben dodici da “Outposts”, “Echoesfromtheholocene” (uscito per Ampbase Records) propone nove tracce inedite in forma di concept, affrontando il tema imperante del degrado ambientale e delle sue possibili conseguenze; sorta di concept futuristico, immagina che un fantomatico visitatore approdi ai bordi dell’oceano all’indomani di una generica apocalisse che ha causato la distruzione del mondo, osservando i resti di ciò che è rimasto.

Musica fluida ed impalpabile, astratta e volutamente inconclusa, sospesa ad un sottilissimo filo sul nulla, si muove sinuosa e sibillina lasciando sullo sfondo scenari di spettrale desolazione. Come da inveterata tradizione dell’ensemble, è improprio parlare di canzoni: piuttosto, si tratta di composizioni avant al crocevia tra contemporanea, drone-music, accenni di neoclassica sfigurata, ambient ipnotica, derive dream-pop, piccole incursioni nel sottobosco noisy mirabilmente esplorato dai Flying Saucer Attack.

A susseguirsi in un continuum straniante sono brani rarefatti, esili trame prive di un centro, armonie fluttuanti, compendio di arte informale costruita attorno a divagazioni dei synth, rumori di fondo, minuscoli disturbi, esperimenti disarmonici, vocalizzi lontani, sussurri, recitativi (“Lament Lentement”). Suggestioni che rimandano indifferentemente ai These New Puritans di “Field of reeds”, ai Seefeel della rentrée (“Adieusirène”), alle languide atmosfere dei This Mortal Coil - e della 4AD tutta - nei dieci minuti inafferrabili di “To the Night (Falls)”, ai Third Eye Foundation di “Ghost” nella sfuggente dilatazione impalpabile di “Hollowscene”.

Album complesso e variegato che mira a veicolare impegno sociale servendosi di un linguaggio inusuale, “Echoesfromtheholocene” mischia field recordings (“Canwesavetheworld”) e spoken word (“Drift plastic blues”), sporadiche concessioni a forme riconoscibili (l’armonica di “Sparkle No”) e diafane melodie carezzevoli (“Time and Tides”), raccogliendo il proprio messaggio in bottiglia entro i confini – invero labili – di lunghe tracce free-form slegate da strutture canoniche, invocazioni trasognate e catatoniche che arrancano moribonde come un naufrago sulla riva. (Manuel Maverna)