recensioni dischi
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A VIOLET PINE  "Again"
   (2019 )

Sette solide tracce di matrice stoner costituiscono l’ossatura di “Again”, terzo album per il trio barlettano A Violet Pine. Sei anni sono trascorsi dall’esordio di “Girl”, quattro da “Turtles”: nel frattempo Francesco Bizzocca ha preso il posto di Luca Ormas al basso e i synth hanno abdicato in favore della chitarra, che domina incontrastata strapazzando armonie sofferenti celate sotto strati di elettricità compatta e massiccia, linguaggio particolarmente efficace nel conferire al trittico iniziale - quantunque compresso e sordamente tetro - un che di marziale ed imperioso.

I brani si rivestono di suggestioni ipnotiche, complice il canto composto e misurato – da post-rock, si direbbe - di Giuseppe Procida, ideale per sottolineare l’incedere metronomico di trame caracollanti fra echi helmetiani (“Interstellar love”, “Run dog, run!”) ed accenti confinanti con derive shoegaze.

A partire dalle vestigia tardo-grunge della cadenza mesta di “When boys steal candies”, impreziosita da una chitarra svagata quanto basta a disegnare una coda toccante che sa di Swervedriver e Stone Temple Pilots, il copione muta ammorbidendo le atmosfere e ritagliando inattesi sprazzi di melodia all’interno di ballate sghembe, ciondolanti e gustosamente rattristate. E’ il caso di “Monster”, che pennella un singalong la cui epicità è soffocata da ondate di fuzz in minaccioso crescendo; o del passo indolente di “Black lips”, quasi pigrizia da Pavement che naufraga in sequenze non lineari di accordi sbilenchi.

E’ solo il preludio al ritorno rabbioso dei cinque minuti di “Zoo”, strumentale che chiude sulla progressione incupita di distorsioni assortite un album strutturato, granitico, fieramente dritto alla meta senza fronzoli o ammiccamenti di sorta. (Manuel Maverna)