recensioni dischi
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IL SILENZIO DELLE VERGINI  "La chiave di Berenice"
   (2023 )

Credo che un artista, in fase compositiva, debba ambire a conferire al proprio progetto non solo credibilità ma, soprattutto, gusto ed omogeneità per accomunare i fruitori in un afflato vibrante.

Se poi, il contesto riguarda la nostra coscienza con tutte le sue variabili riflessive, ecco che il coinvolgimento sarà pressochè immediato e familiare. E, infine, se c’è una coerenza di fondo, questa va lodata a prescindere: proprio quella che confermano i ragazzi de Il Silenzio delle Vergini, per la quarta volta, col nuovo full-lenght “La chiave di Berenice” (dopo: “Colonne sonore per cyborg senza voce”, “Su rami di diamante” e “Fiori recisi” ).

In questa occasione, l’eclettico collettivo milanese dà più compattezza ai suoni e maggior peso alle parole per fornre più compiutezza alla forma canzone, e decisamente non risulta affatto un’idea sbagliata, poiché c’era tanto bisogno di operare in tal direzione per conferire al concept-album un chiaro valore aggiunto.

Dopo il suggestivo proclama di Luther King in “Martin”, si prende la scena l’oscurantismo acidulo di “Kaori Kosei”, tratteggiato da uno spoken-word (dominante nella tracklist) che vibra di dura effettistica, mentre “Marcel” vira verso albori d’un alt-pop d’alto pregio. All’atto di scodellare il tamburellante singolo “Alba varden”, emerge l’estro degli ISDV nel saper ipnotizzare anche senza ri(n)correre chissà quale opulenza d’insieme: con semplicità e linearità mettono in cascina un’altra perlina iridescente.

Invece, “Maetel” batte con inclinazioni cupe ed estranianti come immersi in un noir-movie, ma già scalpita il coraggio espressivo di ''Berenice'', che rivendica nella titletrack il diritto di non subire più vessazioni e prepotenze di nessun tipo: gran pezzo, ma un gran prezzo che ella rischia di pagare socialmente. Però, alla lunga, l’audacia la ripaga ampiamente per aver osato il tutto per tutto. Che esempio!

L’asmatica “Pan” è orlata in un mood ambiguo ma dall’effetto ammaliante. Tocca, poi, a “Vincent” rimarcare un parlare spaziale, che fa fluttuare neuroni e fantasie etereee, mentre la chiusura i ragazzi se la giocano con la stilosa evanescenza di “Anastasia” in solida ballad, che accende più di una luce di speranza risolutiva.

Prodotto dai “soliti noti” Lambertini-Guberti (della (R)esisto label), in sinergia con i Dischi del Minollo, “La chiave di Berenice” è un’opera spiazzante, possente, incisiva e seducente, che fornisce l’utile passepartout per sondare, introspettivamente, coscienza, istinti e ponderazioni di vita, aprendo la serratura salvifica con mandate decise e convincenti, affinchè le nostre anime non siano più (s)chiave di pulsioni indecifrate e disturbanti. La soluzione è qui: a portata d’orecchio. (Max Casali)