MARIANNE SVAŠEK  "Marwa"
   (2023 )

La musica classica indiana ha le sue ferree regole, spesso intraducibili con equivalenti occidentali europei. In questa sede mi è impossibile sintetizzare cosa sono i raga, senza essere superficiale. La parola “raga” si può tradurre con “colore”, riferendosi a formule melodiche prestabilite, che corrispondono a determinate emozioni da rappresentare. C'è uno schema con ben 72 formule da imparare... I cantanti le imparano, e poi possono comporre le loro performance, inanellando sequenze in ordine sempre diverso.

Ecco, è molto più complicato di così, ma questa intanto è una spiegazione elementare. Se siete curiosi di entrare in questo affascinante mondo, il seguente sito è molto più esaustivo di me: https://www.remoscano.it/alap. Spiega anche cosa sono gli “alap”, e la performance di cui parliamo qui è, per l'appunto, un “lungo alap”.

Marianne Svašek è una cantante specializzata nella forma dhrupad, sviluppatasi in ambito Hindustani (India del Nord). In questa forma si segue una specifica sequenza, diciamo “modo” per capirci (pensando ai “nostri” otto modi gregoriani), che prende il nome di “Marwa”, termine che qui dà il nome all'intera performance, uscita per Thanatosis Produktion e prodotta da un nome molto frequente, tra i nostri articoli di Music Map: Alex Zethson.

E che cosa ascoltiamo, in sostanza? Due tanpura (o tambura), che sono due cordofoni dal suono simile a quello del sitar, che intonano note prolungate e stabili, sopra le quali Svašek intona queste sequenze di note dilatate e monotone, dove le variazioni sono graduali nel tempo. Scopo di questa musica è meditativo, e si vuole suscitare un certo tipo di emozioni; è chiaro che bisogna disporre di un adeguato bagaglio culturale, per percepire senza fraintendimenti quali siano le intenzioni della cantante. Ad esempio, banalizzando, se per noi una canzone è in tonalità maggiore o minore, già abbiamo un'idea di che “colore” (appunto, tonalità), avremo davanti. Ma non conosco i significati dei raga usati, dunque non posso azzardarmi a fare un'esegesi scientifica.

Le sensazioni però le posso descrivere: di sicuro bisogna lasciarsi andare all'ascolto, mollando tutto quello che si sta facendo, perché tale musica pretende concentrazione. Dopodiché, con una certa predisposizione, dalla concentrazione si può passare ad un livello diverso di coscienza. Nel sistema occidentale, certe note sono “dissonanze” (quando Marianne si intona sul tanpura in rapporto di semitono e addirittura microtono). Ma ascoltandole qui più volte, ci si prende l'abitudine, e si apre la mente. E magari, si scoprono emozioni nuove, o ancestrali, che già ci appartenevano, ma che non conoscevamo. (Gilberto Ongaro)