GIANLUIGI GIORGINO  "Feeling unreal"
   (2019 )

Non sono mai stato bravo in matematica, ma l’unica cosa che riesco a risolvere sono le mie “visionarie” equazioni musicali e così, dopo l’ascolto di “Feeling unreal”, mi è venuto in maniera spontanea di pensare che: “David Gilmour sta ai Pink Floyd come Gianluigi Giorgino sta alla sua Fender Stratocaster Vintage del ‘62”.

Il debut album da solista, del chitarrista, arrangiatore e tecnico del suono Gianluigi Giorgino, è infatti totalmente permeato dal groove della sua sei corde, un groove prepotente ma non invadente, poiché “Feeling unreal” è un disco che nasce dalla sapiente “fusione” con i musicisti che compongono il resto della line up, in grado di realizzare un progetto musicale superbo, etereo e raffinato.

L’ascolto di “Feeling unreal”, album totalmente strumentale, è un ascolto gradevole ed al contempo emozionante, che ti accompagna in un “viaggio metafisico” dentro la storia del rock, e che si insinua in tutte le sue venature, dal rock psichedelico al progressive, dal blues al jazz fusion, e che sfocia in maniera dirompente nel grunge anni ’80 della Seattle Sound.

Un disco davvero interessante, in grado di stimolare suggestioni e ricordi, che è attraversato da molteplici atmosfere: pacate ed intense quelle di “Grace” o di “Freezing in Space”, dove spiccano i superbi giri di basso di Fabio Capone e Federico Pecoraro, fino ad arrivare alle atmosfere più ritmate e vibranti come in “Brain Washing” (lodevole la tecnica e la metrica della batteria di Giulio Rocca) o in “The Soul Catcher”, brano che viaggia su chiari binari rock blues.

Una perla di classic-blues è invece “Mailman Blues”, brano morbido ed appassionato, quasi accademico nel rispettare in maniera pregevole le regole delle 12 battute.

Un menzione particolare merita “Room 1136”, brano ispirato da Chris Cornell, in cui dopo un inizio “quasi” pacato , con voci e suoni che si intersecano, esplodono in maniera dirompente gli assoli di chitarra, come giusto tributo all’ultimo mito del Grunge.

L’album si chiude con “Icarus”, un pezzo che esprime tutto il virtuosismo tecnico-musicale dell’artista, che ha il pregio di non eccedere mai dando il giusto spazio sonoro al resto dei musicisti e che sintetizza, a mio parere, l’elemento portante dell’intero progetto, ossia l’equilibrio.

All’inizio della recensione ho parlato di un’equazione musicale, per cui adesso è arrivato il momento del risultato finale e, senza tanti giri di parole, considero “Feeling unreal” un disco maturo e completo, in cui Gianluigi Giorgino riesce a dimostrare tutto il suo virtuosismo professionale e, cosa che mi ha molto impressionato, tutta la sua capacità di tecnico del suono, riuscendo a creare paesaggi che spesso mi hanno rimandato ai leggendari dischi in vinili di “Alan Parson e il suo progetto”.

Se per Giorgino “Feeling unreal” è stato il disco di debutto, per me, dopo averlo ascoltato svariate volte, è stato il disco della rinascita musicale, con gemme di assoluta bellezza che sicuramente nel tempo non perderanno mai il loro valore. Voto 8,5. (Peppe Saverino)