THE PANICLES  "Simplicity: The universe (extended)"
   (2014 )

Abbiamo ascoltato in assoluta anteprima, grazie alla gentilezza degli amici de L'Altoparlante, “Simplicity: The Universe”, il nuovo album dei Panicles. I quali avranno anche firmato per una major, avranno calcato palchi internazionali e aperto concerti ai Deep Purple, si saranno lanciati in una curiosa iniziativa per coinvolgere i propri ascoltatori nella realizzazione della copertina del disco, ma, nonostante tutto ciò, scelgono di chiamare quest’album “Simplicity: The Universe”, e inseriscono citazioni di Bukowski inneggianti alla semplicità nei loro video. La verità è che quello in questione è un disco non esattamente semplice, nei temi come nel sound: la scelta del titolo è il riflesso di un’analisi introspettiva operata dai membri della band, che hanno sentito la necessità di riflettere sul loro presente e di richiamarsi, appunto, alla semplicità, dopo un anno ricco di esperienze di rilievo e soddisfazioni. Da un punto di vista meramente tematico e testuale, il disco contiene una sorta di invito, rivolto un po’ a tutta l’umanità, a rivalutare e a riconsiderare ciò che può renderci felici. In un periodo storico grigio qual è quello che viviamo, i Panicles individuano nel ritorno alla semplicità quello che, in tutt’altra epoca, sarebbe stato chiamato “deus ex machina” nel teatro greco. Quest’idea trova espressione specialmente nella traccia d’apertura, “Simplicity”, che introduce un album dal sound ibrido, in grado di spostarsi in parallelo tra un indie rock piuttosto raffinato e un garage non troppo sporco: un prodotto che si carica anche di una discreta originalità, equilibrato e molto elegante, dall’effetto vagamente vintage. La maggior parte dei pezzi può contare su un denominatore comune: una partenza mediamente soft, o comunque non marcatamente aggressiva, prima di un crescendo che giunge al proprio culmine nel ritornello, spesso fulcro dei messaggi forti e diretti scagliati dai Panicles in testi mai banali. Il centro emozionale dell’album sembra potersi identificare con “While I’m down-and out”, che dopo un senso di malinconia iniziale si carica fino ad esplodere in chiusura, rispecchiando un po’ lo stato d’animo di una persona “down-and-out” (nello slang è un’espressione traducibile come “malandato”), ed è seguito da un pezzo che invece è indie rock allo stato puro (“Your Limits”). Cala il sipario con “Tell me something I can sing”, altro ottimo pezzo dal sound molto vintage, in cui Michele Stefanuto detto “Mik” mette in mostra tutto il suo talento (ricordando a tratti Andrew Stockdale dei Wolfmother nell’interpretazione canora), e “Revolution”, nel quale si evidenzia come essa debba esser mossa da un sentimento comune. C’è spazio anche per una riproposizione di “I Fall” (terza traccia) in acustico, alla fine. I Panicles sono un’ulteriore dimostrazione che solo chi è ignorante in fatto di musica underground può asserire che in Italia non esista la cultura del rock e sottogeneri. La straordinaria capacità di fondere un sound che attraversa epoche e che unisce i Rolling Stones agli Arctic Monkeys, gli Who ai Kooks e i Led Zeppelin ai Muse è ciò che dà un grande valore a un album che mostra i muscoli anche sul piano della scrittura. (Piergiuseppe Lippolis)