LOLA YOUNG "This wasn't meant for you anyway"
(2025 )
Ci sono già stati in passato tanti fenomeni del pop rivelatisi pallide e fallaci meteore, legati solo a una canzone di enorme successo.
Pensiamo tanto per fare solo un esempio a "Crush" di Jennifer Paige, la biondina ora cinquantunenne che incarnò la voglia di spensieratezza della fine del secolo scorso (era il 1998, al massimo si temeva il millenium bug e poi arrivò l'11 settembre) e invano tentò negli anni a venire di bissare il successo della sua prima canzone.
Prego tutti i santi e dei dell'olimpo che non succeda alla ancor giovane e acerba Lola Young, orgogliosamente forte delle sue ferite (disturbo da deficit di attenzione/iperattività), fenomeno del '24 che esplode a inizio '25 (sold out in quasi tutti gli show) anche grazie alla strepitosa versione della sua "Messy" allo show tv di Jimmy Fallon.
Sarà l'Amy Winehouse o l'Adele della seconda decade del millennio? Io lo spero. Alla prova dei fatti del secondo album le premesse sono tante e tangibili ma è presto per dirlo, vocalmente è più dalle parti della ormai sontuosa diva di "Hello" ma per vissuto e outfit è più affine alla prima, speriamo naturalmente non per destino.
In rete troverete tutto ciò che serve (compreso il merchandising di magliette e pedalini) per farsi un'idea del personaggio, che si potrebbe sospettare costruito a tavolino o intercettato dai marpioni discografici per far soldi con la credulità altrui. Eh già, perché qui siamo di fronte a una giovane che sa il fatto suo, dice quel che pensa, si fa forte delle proprie debolezze e canta, con la citata "Messy" (ora n.1 della classifica britannica dei singoli), un inno all'accettazione di sé stessi per come si è, senza se e senza ma, alla faccia delle relazioni tossiche.
Un inno di una generazione che ha voglia, come Lola stessa ha detto, di autenticità, alla faccia dei social, della presunta intelligenza artificiale e degli avatar. Sincera lo pare davvero, quando sgretola sul palco dello show la sua torta-zigurrat. E la voce è da brividi, tanto da cancellare il tormentone "Apt" e rimandarlo al mittente. Da una parte abbiamo una hit di incontrovertibile successo planetario come quella di Mars e Rosé, tanto ipnotica quanto debole (farà al massimo la fine di "Barbie girl"), la storia raccontata da Lola è un vissuto nudo e crudo che sa di voglia di identità e di amore incondizionato.
Il resto dell'album, da "Good books" a "Conceited" a "Wish you were dead", ci racconta di una voglia di sperimentare, dire pane al pane ("explicit" recitano i commenti a fianco dei files in molti store digitali) e di osare ritmi oltre la banalità degli schemi e raccontare storie vere con una capacità di coinvolgimento di rara espressività, che sembra tutto fuorché costruita a tavolino o edulcorata o fatta per piacere.
"This Wasn't Meant For You Anyway" potrebbe rappresentare il raro privilegio di assistere allo sbocciare di un fiore raro. In Italia, fatto tristemente sintomatico, Lola ancora non ha sfondato come meriterebbe (doveva essere perlomeno a Sanremo, ma figuriamoci se quelli della Rai se ne accorgono, ci hanno solo illusi di una reunion dei Pink Floyd) e questo la dice lunga sul provincialismo che ci ammorba.
Speriamo bene, cara Lola. Pensiamo a quanto è accaduto poi ad Alanis Morissette o a Dido, però, e a tante altre, come alla Macy Gray dell'inarrivabile "I try". Teniamo le dita incrociate e diciamo per ora un convinto e corale "chapeau". Voto 10/10. (Lorenzo Morandotti)