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04/01/2025
NEIL YOUNG
Un nuovo album ''perduto'' degli anni '70 è in arrivo: il 14 febbraio uscirà ''Oceanside Countryside''

01/01/2025
LA TOP 25 DEL 2024!
I migliori album dell'anno appena trascorso, secondo il nostro ''super redattore'' Manuel Maverna!

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01/01/2025   LA TOP 25 DEL 2024!
  I migliori album dell'anno appena trascorso, secondo il nostro ''super redattore'' Manuel Maverna!

Carissimi, bentrovati.

Anche se mi vedete fare il duro in mezzo al mondo per sentirmi più sicuro, lo devo ammettere: ho accusato il colpo.

Sentire Robert Smith cantare quei pochi versi dal minuto 6’23” di “Endsong” mi ha ferito al cuore, scalfendo le mie granitiche certezze. Mi sono immedesimato per qualche minuto in lui, cercando di osservare le cose dal suo punto di vista, e gli ho dato ragione. Me lo sono immaginato, Robbo, nel 1979, a vent’anni, cantare già di morte e disperazione varia, ma – certo – dalla prospettiva di un ventenne. Depresso finché volete, ok: ma pur sempre un ventenne, uno con tutta la vita davanti, come si dice. Di anni ne sono passati quarantacinque, da quando partorì “Boys don’t cry”, e già scriverlo fa effetto. Per me, ne sono passati quaranta da quando conobbi i Cure dal video di “The Caterpillar”, che mi lasciò pietrificato davanti a Videomusic a tredici anni, e pure scrivere questo fa effetto, eccome.

Li ho seguiti per una vita intera, i miei ragazzi vestiti di nero, in tutte le loro varie reincarnazioni, in ogni mutamento di pelle, nella buona e nella cattiva sorte. Li ho messi da parte, li ho anche traditi, ma mai abbandonati: magari tenuti in un taschino, lì al riparo, pronti al bisogno, in caso di necessità. Ho visto Robert Smith invecchiare dietro quel rossetto sbavato e sotto la stessa foresta di capelli ribelli; ho visto Simon Gallup rimanere piegato su quel basso come se il tempo non esistesse, ma esiste eccome, e pure scrivere questo fa effetto. Li ho seguiti e adorati come idoli pagani, ma Ferretti diceva quella cosa sul fare di qualcuno un idolo, e aveva ragione pure lui.

“Songs of a lost world” io non l’ho voluto ascoltare per intero: non ce la faccio, troppi ricordi. Due canzoni le ho intercettate, ed è stato abbastanza, perché sono due espliciti stralci di un testamento che non intendo leggere finché non è giunta l’ora. E ogni tanto ci penso, a quando i Cure non esisteranno più, ed è un pensiero brutto che cerco di respingere, perché sarà come vedere interrotto quel filo che la vita tesse da decenni.

Per contrappasso, in cotanta tenebra il disco che svetta al numero uno della classifica di Music Map per il 2024 è un inno alla vita, in ogni sua piega, svolta, direzione, bella o no che sia: è pensato, scritto, suonato e interpretato da una donna, dal punto di vista di una donna, con la sensibilità di una donna, e mi piace pensarlo come buon auspicio, né più né meno come il titolo di un ben noto film di Mario Monicelli, uscito nell’anno in cui Robbo & soci pubblicavano “Standing on a beach”, ossia la migliore raccolta di sempre.

L’augurio è di guardare avanti, o semplicemente di guardare oltre, là dove un’anima gentile che è partita a San Silvestro sicuramente starà veleggiando.

Il mio corpo è un’astronave/come le stelle accese/che dice addio, addio, addio

il mio corpo è un’astronave/ed il mio spirito lo spazio immenso/ed infinito


Quindi, nel frattempo, tieni duro, Robbo: lunga vita a te e ai Cure, finché andrà.

Statemi benone, alla prossima.

Manuel




1. GERA BERTOLONE - "Femmina"
Tra la Sicilia e Parigi lievita maestosa una declinazione del folk come poche altre: voce di donna, voce sofferta che viene dal profondo, una voce che è tutte le voci del mondo. Scava, graffia, spinge, grida: ricorda ai presenti in quale direzione guardare, nel caso dimenticassimo - o sottovalutassimo - l'origine del mondo.
etichetta: Sonora Recordings
(recensione su Music Map: ''qui'')



2. biVio - "Ex Sync"
Art-rock in purezza, partorito dalla meglio intellighenzia: quattro anime apolidi, ognuna col suo viaggio ognuno diverso, riunite sotto l'ombrello del comune intento che le lega, una cornucopia di idee e intenzioni fusi in un crogiolo meticcio, spettacolo di arte varia, trascinante babele sonora dalle infinite possibilità.
etichetta: The Beat Production
(recensione su Music Map: ''qui'')



3. CRY BABY - "Under cover of night"
Fatto trio per l'occasione, un duo di bassisti esplora lande sconfinate e lontane, sperimenta e avant-guarda, azzarda accostamenti fuori moda e in controtendenza, sollazzandosi con tracce sparse di jazz contorto e suggestioni post-tutto, remiscelando idee inesauribili e spostando il limite fino a dove l'estro conduce, infuso di passione e creatività, avvolto in una fascinosa veste off.
etichetta: Filibusta Records
(recensione su Music Map: ''qui'')



4. WHISPERING SONS - "The great calm"
Il solito cuore di tenebra accoglie e custodisce gelosamente i suoi figlioletti, cinque belgi che sembrano usciti da un buco spazio-tempo, più che altro una voragine dai riflessi retrò. Tanto per cambiare: post-punk (esiste altro?) riletto ed impreziosito da nuove sfumature, con qualche sporadica concessione all'uditorio e la voce di Fenne Kuppens profonda come una tomba. Ritmo e dolore, a profusione.
etichetta: PIAS
(recensione su Music Map: ''qui'')



5. ROBERTA GIALLO - "Reminiscenze"
La perfetta crasi tra pop e autorialità, diva diversamente umile sì, ma capace di scavare il solco tra noi vs loro, tra la scialba musica che gira intorno ed un progetto ambizioso q.b. Variopinta e agghindata, la deliziosa signorinella pallida dispensa arte per le masse con il pungente garbo ed il solenne buon gusto che meglio sposano la sua trasparente signorilità.
etichetta: Yellow Music
(recensione su Music Map: ''qui'')



6. RUN RONIE RUN - "Baise le monde"
Post-punk sibillino dalle sfumature vagamente goliardiche, portato in scena da un trio francese la cui frontwoman di mestiere fa la trapezista nei circhi. Questa musica è come lei: sospesa sull'abisso, un rischio ed un brivido ad ogni passaggio, eppure alla fine il numero riesce e il pubblico applaude. Sorprendenti, intriganti, imprevedibili.
etichetta: M&O
(recensione su Music Map: ''qui'')



7. WE ARE WINTER'S BLUE AND RADIANT CHILDREN - "No More Apocalypse Father"
In guisa di guru del pensiero critico, Efrim Menuck coglie una nuova occasione per dissertare del senso ultimo della vita, di annessi e connessi, di sfumature da cogliere e di altre da dimenticare in fretta. Lo fa in musica e - questa volta - anche in parole, ogni nota ed ogni sillaba come macigni su quella umana indifferenza che impedisce di distinguere il bene dal male.
etichetta: Constellation
(recensione su Music Map: ''qui'')



8. PARTINICO ROSE - "Undeclinable ways"
Sporco e indisciplinato, ruvido e cupo, un manuale di negatività da mandare a memoria, tenendo il broncio e rinunciando a sorridere, anche di nascosto. Musica buia ed elettrica, nervosa e pessimista, di quelle che non si usan più: fuori è notte, ma dentro non va meglio. Soffocante e fosco, con ben poche speranze di redenzione: ci sono demoni in agguato al prossimo angolo di strada, il futuro è questo.
etichetta: Earache
(recensione su Music Map: ''qui'')



9. HOT GARBAGE - "Precious Dream"
Quattro canadesi di belle speranze riscrivono lo shoegaze muovendo dal rumorismo cerebrale dei Women, andando a parare chissà dove, in una landa abbastanza desolata da suscitare mestizia, eppure sufficientemente elettrizzante per non cadere nella trappola della depressione. Tracce di melodia affogata nel frastuono, lezione vecchia, sempre efficace.
etichetta: Mothland/Exag' Records
(recensione su Music Map: ''qui'')



10. ANGELO SAVA - "Una piccola morte"
Il nostro caro Angelo alle prese con l'ennesima dichiarazione di guerra & pace alla vita. Viscerale ermetismo, indole visionaria, frammenti di esperienze fallimentari, tentativi di rialzarsi, ferite profonde e cicatrici dolenti, incubi ad occhi aperti e sogni infranti: l'intero campionario di questo piccolo, enorme artista che vive celato in un suo mondo alla rovescia.
etichetta: autoproduzione
(recensione su Music Map: ''qui'')



11. THE BELLRAYS - "Heavy steady go!"
Quattro californiani con trentacinque anni di carriera sulle spalle, picchiano ancora come pischelli: hanno una vocalist sontuosa, una Tina Turner che si sgola cantando hard rock, soul che soul non è, blues sfigurato e virulento. Musica primitiva, ancestrale, interpretata con encomiabile foga ed incrollabile fedeltà alla linea.
etichetta: Sweet Gee Records
(recensione su Music Map: ''qui'')



12. SWANZ THE LONELY CAT - "Swanz The Lonely Cat's Macbeth"
Progetto ambizioso e dotto, arte varia che travalica i confini angusti della forma-canzone, show nello show. Impervio, elaborato, sfaccettato, attraente ed ipnotico, seppure sotto il manto di una innegabile complessità di fondo. Mai impenetrabile: stimolante invece, a patto di stare al gioco, raccogliendo il guanto di sfida.
etichetta: Toten Schwan/EEEE
(recensione su Music Map: ''qui'')



13. WAKE UP IN THE COSMOS - "Keine strasse"
Sette pezzi, ventisei minuti, prodigio di inventiva e concisione, psych-qualcosa in un frullatore che sbriciola tutto il possibile con divertita cattiveria, ma con stile, idee, guizzi imprevedibili. Non sono i Mercury Rev: soltanto quattro tizi toscani che giocano con balocchi pericolosi, armeggiando con ordigni bellici d'altri tempi, senza bruciarsi mai. Musica scomoda in salsa retrò, zero nostalgia.
etichetta: Overdub Recordings
(recensione su Music Map: ''qui'')



14. THE GLUTS - "Bang!"
Non è Detroit, è solo Milano, quattro diavoli in pista a brutalizzare il cadavere del rock a suon di sberle e chitarre dispettose. Caos sovraesposto, storie tese e gas di scarico: tracce di punk, hardcore slabbrato, elettricità disturbatissima, approccio muscolare e indisciplinato e un gran bel sabba agitato, frenetico, urgente.
etichetta: Fuzz Club Records
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15. MARI KVIEN BRUNVOLL, STEIN URHEIM & MOSKUS - "Barefoot in Bryophyte"
Al crocevia tra jazz, ambient e sperimentazione edulcorata, un blasonato quintetto norvegese crea musica eterea, celestiale, inafferrabile. Trame astratte definiscono composizioni di diafana, preziosa bellezza, sublimate da un approccio sì colto ed elitario, eppure disponibili a lasciarsi leggere, comprendere, amare incondizionatamente.
etichetta: Hubro Records
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16. UNCLE MUFF - "Adrift"
Blues sfregiato, riveduto e corretto, sofferto e storto, estroso ed incupito, portato in dote da un trio trevigiano che suona triste ed energico, brillante e variegato. Rilettura fedele, eppure così peculiare, di molti dorati classici del ramo, nobilitata da una scrittura ricca ed imprevedibile, al contempo tenebrosa e vitale.
etichetta: Overdub Recordings
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17. DOG UNIT - "At home"
Una delizia fluida e conciliante, tre quarti d'ora di discese ardite e risalite lungo il pendio di una infinita delicatezza muta. Disco solo strumentale che esplora con grazia territori di confine, espressione della sfaccettata, indefinibile creatività di questo sorprendente quartetto londinese, che riscuoterà non più di un decimo della fama che meriterebbe. Tanti auguri, di cuore.
etichetta: Brace Yourself Records
(recensione su Music Map: ''qui'')



18. LUCA FOL - "Luca Fol"
Un trentenne romagnolo di ottime speranze e di promettenti trascorsi prende appunti per il pop che verrà. Scaltro e godibile, allettante e futuribile, scrive con gusto melodie killer, intelligenti e fruibili, alla portata di tutti sì, ma con una sottile eleganza che lo distingue dalla massa. Non sono solo canzonette: different class.
etichetta: TSCK Group
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19. VANESSA PETERS – "Flying on instruments"
Brillante compendio di Americana d.o.c., fatta da chi la sa porgere con classe, coerenza e passione. La signora bionda, ispirata e tenace, non sbaglia mai, e per una volta lo sguardo sul futuro incontra meno nubi del solito: la vita è (abbastanza) bella, c'è (qualche) speranza in fondo al tunnel. Di questi tempi, è merce rara: meglio accontentarsi.
etichetta: Idol Records
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20. HAZY LOPER - "The shadow carvings and other short poems"
Un solitario eremita che vive in un non-luogo dà forma e voce alla più primordiale espressione del folk dei pionieri, musica scarna ed essenziale, scheletrica e minimalista, eppure perfettamente in grado di farsi strada tra il groviglio di visioni che porta in dote. Un sussurro dalle profondità del bosco, con tante belle illusioni e sincera fiducia nel domani, nonostante tutto.
etichetta: Ribéss
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21. BRAT - "L'estate eterna"
C'era una volta la new wave, che new non è più, ma che offre a chi la sappia rimasticare l'occasione d'oro per rispolverarne i fasti. Cantautorato sui generis virato indie sui generis, in veste intima ed introversa; musica a presa lenta, rilassata e profonda, da assumere con cura, come un vino da meditazione.
etichetta: SBAM/Materiali Sonori
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22. MASSARONI PIANOFORTI - "Maddi"
La Buona Novella 2.0 non è tanto buona e per nulla confortante. Un Gesù qualsiasi e la sua Maddalena a spasso per i vicoli stretti e maleodoranti dei bassifondi, come fossero la parte per il tutto, o solo due anime a caso perse nel marasma di due vite comuni, inevitabilmente indirizzate verso l'ennesimo lieto fine mancato.
etichetta: Maremmano Records
(recensione su Music Map: ''qui'')



23. THREE SECOND KISS - "From fire I save the flame"
In questo mondo di spigoli c'è ancora un gruppo immarcescibile che da circa trent'anni scolpisce imperterrito il suo math-rock in divenire, infischiandosene altamente del tempo crudele, delle tendenze effimere e passeggere, della modernità ad ogni costo. E' bello saperli in piena forma, ancora meglio ascoltarli spiegare la lezione come navigati docenti di una materia impressa nella memoria.
etichetta: Overdrive
(recensione su Music Map: ''qui'')



24. SCHËPPE SIWEN - "Richtung Fräiheet"
Allegria! Ma anche no, in fondo. E non inganni l'impeto folk da festival estivo messo in piazza da questo prodigioso collettivo lussemburghese: grazie alla vita che mi ha dato tanto, ma che tanto mi ha tolto, tra promesse di libertà e orizzonti perduti, amici smarriti lungo il cammino e sogni in grande stile. L'importante è guardare avanti, e non smettere di crederci: musica gente, cantate che poi…
etichetta: OOB Records
(recensione su Music Map: ''qui'')



25. CATHERINE GRAINDORGE - "Songs for the dead"
Nata da una breve poesia di Allen Ginsberg, scintilla e ispirazione, va in scena una piéce di teatro decadente, occasione imperdibile per un'artista belga di lungo corso e comprovata perizia per riflettere sulla sempiterna commedia/tragedia vita/morte, tema universale sviscerato in un'opera complessa, palpitante, emozionante come un elogio funebre, di quelli fatti bene.
etichetta: Glitterbeat/Tak:Til
(recensione su Music Map: ''qui'')