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12/10/2023   MAURO REPETTO
  Il nostro Enrico Faggiano ha incontrato l'ex 883 alla presentazione del libro ''Non ho ucciso l’Uomo Ragno''

“Ciao, e grazie per averci cagato”
“Ma perché? Non è andata bene?”
“No, diamine, stavo citando un tuo pezzo storico, immortale, MA MI CAGHI?”
“Ah, vero… era.. una canzone per una tipa di Pavia”
“Me ne fai un pezzo?”
“Oddio, come faceva?”


Mauro Repetto è in giro per promuovere il suo libro, “Non ho ucciso l’Uomo Ragno”, andando quindi a raccontare la sua storia, ma più che un libro qualcuno dovrebbe farci un film, della sua storia. Vero, non quello che avrebbe voluto fare lui con la famosa (?) Brandi Quinones negli anni ‘90.

E magari, ‘sto film, farlo partire non tanto dalla storia dei due sfigati di Pavia che diventano numero uno in classifica, quanto piuttosto iniziare dal momento in cui Repetto, il biondino che ballava, salutò la truppa. Con una mossa in controtendenza: di solito è quello più in mostra, il cantante, che cerca maggiori successi e va di solista, non il contrario.

Repetto se ne andò, alla ricerca di nuovi stimoli, nuove ragazze e nuovi progetti, e da lì la storia si fece interessante: le disavventure americane, il coinvolgimento esterno in botte tra rappers, per finire nel trovare la pace e l’amore (non di Brandi) a Parigi. Impermeabile ai racconti che arrivavano dall’Italia, che lo vedevano defunto, truccato da Pippo (o Pluto?) a Eurodisney, e dove aveva lasciato un album solista, “Zucchero filato nero”, manifesto del trash.

Anatrema, avrebbe detto Giorgio Faletti travestito da Testimone di Bagnacavallo. “Zucchero filato nero” era un emblema di coraggio, del fare quello che uno vuole senza pensare alle conseguenze, un Syd Barrett della provincia lombarda. E quell’album, magnetico nella sua bruttezza, andrebbe insegnato nelle scuole proprio per questo: non abbiate paura di essere orrendi, punto.

“Non ho ucciso l’Uomo Ragno” è un racconto senza pause, senza capitoli né paragrafi, che spiega quello che è successo al biondino che ballava e che lasciò il successo per inseguire i propri sogni, peraltro nemmeno così chiari e limpidi, mandando all’aria il proverbio di cosa capita a chi lascia la via vecchia per la via nuova.

E sarà anche buffo, questo signore di mezza età palestrato e con i capelli grigi (per i bolognesi, una versione ringiovanita di Beppe Maniglia) che si esalta a ricordare i propri ricordi. Ma è una storia da raccontare, ed è un peccato che tutti gli chiedano dei tempi degli 883 (ah, è la prima volta che questa combinazione di caratteri, 883, appare in questo articolo) e non di quello che è successo dal giorno dopo il suo me ne vado.

Perché è quella la sua storia, oltretutto non referenziale – Repetto non racconta delle esperienze teatrali a Parigi, nemmeno del suo ultimo lavoro musicale, a firma “Another 24” – e senza esaltazioni né richiesta di meriti. Vai, siamo tutti con te.

“Dai, almeno il ritornello me lo fai?”
“Ma non era la canzone dove parlavo di una giacca?”
“No, era una serie di improperi verso una che non ci stava, dicevi che l’avresti rapita come Godzilla”
“Ah sì, era MA MI CAGHIIIII?”
“Perfetto”
“Grazie a te”


(Enrico Faggiano)