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20/11/2024
01/01/2023 LA TOP 25 DEL 2022!
I migliori album dell'anno appena trascorso, secondo il nostro ''super redattore'' Manuel Maverna
Carissimi, bentrovati: mala tempora currunt, ma questo già si sapeva, conforta constatare come le cose non cambino.
Attualmente, il cantante preferito di mia figlia, la quale compirà 16 anni tra qualche giorno, è Louis Tomlinson, trentunenne inglese ex-One Direction, occhi azzurri e una voce non male. E’ uno di buoni sentimenti e di gradevole aspetto, si veste normale e canta di cose normali, di sicuro è meno peggio - giusto per fare del sano qualunquismo da bar - rispetto a tanto pattume che c’è in giro. A conferma della bontà del personaggio, il suo ultimo disco, uscito un paio di mesi fa, si intitola “Faith in the future”: fiducia nel futuro, e già il ragazzo mi piace, perché di questi tempi ci vuole fegato ad averne, di fiducia.
Non bastava la pandemia: la novità dell’anno è che qui a due passi c’è la guerra, ma è tutto ok. Piovono bombe, e allora balliamo: il bisogno di musica permane intatto, anche se a volte sembra più l’orchestra di Auschwitz, un sottofondo irreale in un mondo nefasto. Nel frattempo, non si vendono più i dischi, tanto c’è Spotify: per fortuna c’è il Guccio, che Spotify lo manda a donne perdute, e ci sono io che nel mio piccolo mi vanto di aver acquistato per posta i quattro album di Emiliano Mazzoni da Emiliano Mazzoni in persona e la memorabile raccolta dei Vintage Violence da Rocco Arienti in persona, perché bisogna pur sempre resistere. Il Guccio me lo hanno regalato, vale lo stesso.
E pure i live non sono più così completamente sold-out come volevano farci credere: ai concerti non vado più, ma è solo perché sono oramai una vecchia ciabatta e mi stufo a stare in piedi, altrimenti sarei lì davanti come ai bei tempi. Peccato che i Marnero non facciano un tour nei teatri, così potrei stare seduto comodo. Music for the masses, music for nothing, di money che circolano sempre meno, eppure la nave va, stando a galla non si sa bene come.
Altro? Potrebbe andare peggio, potrebbero esserci al governo… Federico, mi guardi su Wikipedia chi c’è al governo? Come dici? Oops! We did it again, roba da non crederci: per non sapere né leggere né scrivere, il nome dell’artista autore del nostro Disco-dell’-Anno potrei usarlo nel prossimo futuro come lasciapassare, ché non si sa mai.
Nel dubbio, addestrate i bambini alla sopravvivenza/Zoloft è la sentenza.
Statemi benone, alla prossima.
Manuel
1. NERO KANE - "Of knowledge and revelation"
Quello che resta è un cuore di tenebra, due ombre nella semioscurità, due voci dalle profondità di un immaginario dipinto a tinte buie. Una chitarra essenziale e un synth quasi chiesastico tratteggiano la colonna sonora dell'apocalisse dell'anima. Chi sembra non esserci più è tra di noi, per vagare insieme. Non verrà giorno, non ci sarà redenzione. Amen.
(brano migliore: ''Lady of sorrow'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
2. BLACK TAPE FOR A BLUE GIRL - "The cleft serpent"
Trentacinque anni e passa di musica impalpabile sul labile confine tra angeli & demoni, habitat di Sam Rosenthal e dei molti fantasmi che lo accompagnano in questa valle di lacrime. Dust, decay and destruction, il canone non è mai cambiato dal 1986, il mondo è peggiorato, pietà è morta, è morta la speranza. Dramma, violoncello, morte, solitudine. Continuare ad libitum.
(brano migliore: ''Hidden Villa, Florence 1453'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
3. OSSI - "Ossi"
La meglio intellighenzia indigena alla prese con un cocktail impazzito di non-stili, non-generi, non-canoni: verrebbe da chiamarla psichedelia latu sensu, ma non è neppure quello. Irresistibile pastiche intriso di una palpabile genialità, rimescola le carte e inventa un gioco nuovo. Un gioco difficile, non per tutti: richiede impegno, ma appassiona.
(brano migliore: ''Out demons out'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
4. DEWAERE - "What is pop music anyway?"
Quaranta minuti all'assalto senza un istante di requie, qualcosa di vagamente simile ai Franz Ferdinand che suonano pezzi degli Strokes. Quattro tizi francesi infilano una serie memorabile di riff, urla, ritornelloni, schitarrate e cattiveria varia in un frullatore impazzito. Tutto già strasentito, disco grandioso.
(brano migliore: ''Clink and cluster'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
5. TO DIE ON ICE - "Una specie di ferita"
Mezzora indefinibile, fascinosa e spaventosa, a metà strada tra musica da film e hardcore truccato, tra post-qualcosa e atmosfere lascive, equivoche eppure suadenti. Gioca col piano-forte, ma lo fa in modi avulsi dalla tradizione: la violenza scorre sottotraccia, deflagrando senza preavviso, quando meno te lo aspetti. Come in un film di Dario Argento quando spunta dal nulla l'assassino.
(brano migliore: ''Squirt - Una città in fiamme'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
6. BODEGA - "Broken equipment"
I ragazzi ne hanno fatta di strada, da cloni a modelli il passo è breve, in fondo. La formula è invariata, le canzoni sono migliori: più personali, più accattivanti, più convinte. Si ascoltano più volentieri, anche se facili non sono mai. Lo stile inizia a diventare riconoscibile, slackness e intelletto come ai bei vecchi tempi dei Pavement, ma perfetti per oggi.
(brano migliore: ''Statuette on the console'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
7. DON rodriguez – "10D10"
In una quarantina di minuti sta racchiuso tutto l'indie nostrano che serve. Ha forma e sostanza, recita a memoria un copione che funziona divinamente, addirittura si pavoneggia con brio. Ha proprietà di linguaggio, sfrontatezza, idee a profusione. Fa sembrare tutto facile, esattamente come l'Ernest Shackleton che non manca di celebrare a dovere.
(brano migliore: ''Cristiano'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
8. THE POISON ARROWS - "War regards"
Sinistro presagio, profezia funesta o semplice casualità, questo è il destino di un disco nato prima della pandemia, rimandato a data da definirsi, alla fine pubblicato il giorno dopo l'inizio del conflitto tra Russia ed Ucraina. Un disco buio e spigoloso, rigonfio di pessimismo & fastidio, intriso di un'angoscia esistenziale opprimente. Segno dei tempi, con ben poca speranza e ancora meno fede.
(brano migliore: ''Altered medication'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
9. ROBERTA GIALLO - "Canzoni da museo"
Cantami, o diva, di quello che vuoi, andrà bene comunque. Troppo brava per essere vera, artista nell'accezione più ampia, voce senza limiti, doti infinite in infiniti campi. Tra l'altro, ha anche delle belle canzoni, ma - davvero - talvolta la cosa è quasi indifferente: è sufficiente che apra bocca per sentirsi altrove, poco importa dove ti stia portando.
(brano migliore: ''Il canto della lavatrice'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
10. ALESSANDRO FIORI - "Mi sono perso nel bosco"
Cantautori-che-non-sembrano-cantautori: non esiste un cantautore meno cantautore di Alessando Fiori, dai Mariposa ad oggi custode di un modo singolare di interpretare il ruolo. Battitore libero per eccellenza, fa quello che gli pare come gli pare, senza mai risultare meno che delizioso. Palesemente geniale, punge, infastidisce, ammalia, maneggiando la materia in totale imprevedibilità.
(brano migliore: ''Per il tuo compleanno'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
11. MARIO PIGOZZO FAVERO - "Mi commuovo, se vuoi"
Cantautori-che-non-sembrano-cantautori: dispettoso, irriverente, disallineato. Conserva qualche tratto più canonico, ma a prevalere è una scrittura non lineare, un'alternanza di parole manipolate ad arte per essere ferro o per essere piuma. Spesso sono ferro, e più fanno male più arrivano a segno, anche se indossano il vestito della festa. A volte parlano perfino d'amore, roba da matti.
(brano migliore: ''Il metro del sarto'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
12. HUGO RACE FATALISTS - "Once upon a time in Italy"
Cupo e triste, con quel bel vocione cavernoso che sembra provenire dalle profondità dell'anima, il Maestro ricama l'ennesimo pezzo prezioso di arte povera. Usa gli arnesi del mestiere come pochi sanno fare, mentre una melodia oscura incanta come litania sciamanica ed avvolgente.
(brano migliore: ''Once upon a time in Italy'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
13. DEAF LINGO - "Lingonberry"
Un giovane quartetto milanese gigioneggia in scioltezza con schegge di elettricità disturbata, mettendo in fila in neanche mezzora dieci mazzate mai così piacevoli. Più maturo e a fuoco rispetto agli esordi, il suono è gradevolmente abrasivo, inzuppato di tanto bel noise e forte di melodie soprendenti. Un glorioso bailamme, per gradire.
(brano migliore: ''Lingonberry'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
14. UNAPALMA - "Eternit"
L'Avv. Scudellari da Ravenna offre la sua personale versione di un pop gentile, morbido, elegante. Essenziale e mediamente intristito, ha tinte pastello, sfumature delicate, parole taglienti mascherate da carezze. O viceversa, ma sempre con quel filo di voce rassicurante e confidenziale che ti culla, mentre ti ricorda cose che vorresti dimenticare.
(brano migliore: ''Eternit'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
15. VENIL - "My fears are not strong enough to save me"
Trio francese dall'approccio nervoso e dal sound violentuccio, disco che certo non nasconde - anzi, enfatizza - una sordida maniacalità a colpi di elettronica buia e suggestioni industrial. L'effetto è straniante e vagamente disturbante, un milieu morboso e sporco scosso di continuo da inserti psicotici e pervaso da una insopprimibile aura di negatività.
(brano migliore: ''My'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
16. DIAMARTE - "Transumanza"
Quattro ragazzi molisani declinano disparate reminiscenze di indie autoctono in una sapiente manovra di avvicinamento al loro linguaggio distintivo. Si avvicinano in più occasioni al bersaglio grosso, lo centrano in almeno tre canzoni che rasentano la perfezione. Lo fanno con una nonchalance addirittura imbarazzante. E' un esordio. E' autoprodotto. Può bastare?
(brano migliore: ''Fiori in via Fani'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
17. PEDRO MAKAY - "Colores"
Leggero, solare, sorridente. E' una festa mobile lo show di questo quarantenne basco con la faccia da ragazzino, chitarrista allievo di Luis Cortes e animo gioviale al servizio di una musica spensierata, figlia di tradizioni e terre lontane. Un gioioso ritorno alle origini che ha i colori di tutto il mondo e il suono meticcio dei viaggiatori di lungo corso.
(brano migliore: ''Magdalena de Lavapiés'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
18. MARCELLO CAPOZZI - "Offshore"
Il mondo come casa, il viaggio come cambiamento, la transizione come crescita. Un disco come un labirinto, ricolmo di idee, sviluppi, ipotesi, un dedalo di creatività nel quale ben volentieri ci si perde. Il tragitto è stimolante, riserva sorprese e lascia aperte le porte, parlando la lingua apolide di un confine che non c'è.
(brano migliore: ''London Bridge'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
19. ROTTEN MIND - "Unflavored"
1-2-3-4 e via a rotta di collo, quattro svedesi non-Abba che dispensano martellate come non ci fosse un domani. Assemblano quaranta minuti di furia cieca, un post-punk cattivo sparato dritto in faccia, senza mezze misure o sconti di pena. Veloce, aggressivo, fragoroso, incalzante. Niente di nuovo, perfetto così.
(brano migliore: ''Inflammable'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
20. DŌNA FLOR - "Les voyages extraordinaires"
Sembrano i Caraibi, ma è Lombardia: tre musicisti e una vocalist celestiale dipingono un quadro esotico dai toni sgargianti, un misto di sudamerica e jazz, folk e Balcani, un canto di sirena che inebria e ti porta a spasso per i meandri di un microcosmo fiabesco. Basta chiudere gli occhi e lasciarsi sopraffare dall'incantesimo.
(brano migliore: ''Llanto y ardor'')
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21. LAIKA NELLO SPAZIO - "Macerie"
Focoso incontro di urgenza e scomodi temi per due bassi e batteria. Con foga incattivita, disegna a tinte forti una piccola umanità allo sbando. E' disincantato, disilluso, ben poco speranzoso: non promette niente di buono, mentre fotografa il passato afflosciato, il presente che è un mercato ed il futuro che - sicuramente - sarà nero.
(brano migliore: ''Schrödinger'')
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22. LALLA BERTOLINI - "La terra liberata"
Strana, insolita figura di artista defilata, lontana dal clamore, signora e padrona di un piccolo world apart di scarna essenzialità. Sul filo sottile tra canzone d'autore, poesia sbilenca e un immaginario che cavalca sentimenti aspri e uno sguardo di sbieco sulla vita. Che è ruvida e in bilico, come la sua voce, intensa e sofferta.
(brano migliore: ''Sogno di New York'')
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23. LETATLIN - "seaside"
Due immortali eminenze grigie di lungo corso spostano ancora più in là il margine del loro art-rock contorto e indefinibile, rifinendo un'opera ondivaga che è puro manifesto dada, inno spregiudicato ad una libertà espressiva spinta a livelli esaltanti. Mischia lingue, effetti, intuizioni: il risultato non è prevedibile.
(brano migliore: ''Mexican serenade'')
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24. TRA GLI ALTRI - "Vorrei tanto non dover guardare”
Intimo, confidenziale e afflitto quanto basta a segnare il trionfo di una desolazione a tratti dilagante. Armonioso e morbido, mantiene intatto un delicato equilibrio tra misurata riflessività e introspezione. Più complesso di quanto le apparenze suggeriscano, affascina ed affabula in un connubio ben orchestrato di musica dimessa e parole intense.
(brano migliore: ''Enrosadira'')
(recensione su Music Map: ''qui'')
25. DAVID HOPE - "…and the sea"
Nostalgici tutti, accorrete! A voi questo abbraccio in musica che ha un sapore antico, come quelle pietanze che non mangiavi da una vita e che ti riportano a giorni lontani. Un songwriter irlandese prende saldamente tra le mani le radici dell'alt-folk e le nobilita in tre quarti d'ora di autentica meraviglia desueta. Semplice, basilare, memorabile.
(brano migliore: ''Whiskey mornings'')
(recensione su Music Map: ''qui'')