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07/03/2021   SANREMO 2021 - IL NOSTRO COMMENTO (SEMISERIO)
  Il Festival secondo ''Sua Acidità'' Enrico Faggiano

Aiello – (arriva 25) - Ora - Strilla come uno a cui hanno detto "se ti fai sentire a x chilometri forse non uccidiamo tua zia". O come uno che sta facendo un provino per diventare antifurto umano. E va bene tutto, ma se sei così incazzato perché ce lo devi far sapere assordandoci? Non bastavano già i Coccianti delle bellesenzanima e i Masini delle bellestronze? Dai, stai sedato, mica sei Riccardo Fogli che chiede l'asciugamano.

Annalisa – (arriva 7) - Dieci - Parte denudata per poi lentamente rivestirsi, quando di solito il percorso é l'opposto. Nulla di nuovo sul fronte delle decognomate: problemi di coppia e autorivendicazioni non peccabili sul piano tecnico, ma che sembra un tentativo di trasmettere emozioni costruite in laboratorio. Sarebbe da prenderle tutte, costoro, e vedere se a sommarle non ne uscirebbe finalmente una artista totale.

Arisa – (arriva 10) - Potevi fare di più - Canzone il cui titolo è chiaramente dedicato a un amante svogliato, per l'ormai classico clichè della freak che quando fa canzoni allegre pare scappata dall'analisi, quando fa canzoni intense alla lunga, forse stanca. Brano di Giggi D'Alessio: dalle interpretazioni senza anima all'anima senza interpretazione. Cresce un po' col tempo, superati i pregiudizi.

Bugo – (arriva 24) - E invece sì - Ok, qui non si chiede a tutti di avere chissà quale estensione vocale, anche perché da Sanremo sono passati decine di soggetti dalle grandi interpretazioni del tutto prive di anima. Ma un minimo ci proviamo, almeno? Almeno Tricarico faceva più simpatia immediata, chissà. Poi canzone dignitosa, altro mosaico dove, da Battisti in poi, ci sono tante di quelle citazioni e/o somiglianze da aprirci una versione extended della Settimana Enigmistica.

Colapesce e Dimartino – (arriva 4) - Musica leggerissima - Da un lato si strizza l'occhio a chi non ne può più dei 'ragazzi di oggi' (cit.), e che alla fine è pura nostalgia vintage, con roba presa pari pari dai programmi tv serali di fine anni '70. Dall'altro lato è un gioco enigmistico sul chi riesce ad indovinare più citazioni e/o ispirazioni, dagli Empire of The Sun delle prime battute ad Alan Sorrenti, Julio Iglesias, Collage, Cremonini, varie ed eventuali. Come se ogni sera fosse quella delle cover. Però si fa sentire. Gli over 20 ringraziano.

Coma_Cose – (arriva 20) - Fiamme negli occhi - Non è male, con un retrogusto indie che però non esagera nel diventare materiale solo per gli adepti. Poi ok, sembrano i figli alternativi dei Jalisse, i nipoti lisergici di Al Bano e Romina, ma si sono viste coppie ti-guardo-tu-mi-guardi ben più zuccherose, diabetiche e noiosissime. Carina, si può dire? Amadeus ripete spesso che sono coppia anche nella vita. Forse che per alzare l'audience si aspetta qualcuno a guardarli in attesa di una copula live? Ingiusta la posizione finale.

Ermal Meta – (arriva 3) - Un milione di cose da dirti - Continua una sua personale luna di miele con l'Ariston forse inspiegabile a quelli per cui Sanremo è solo un comune in provincia di Imperia. Forse perché alla fine è di quelli che a scuola non prende dei 9 ma nemmeno dei 4, per cui se la sfanga sempre. Può piacere a tutti senza diventare l'idolo di nessuno. Qualità o paraculaggine?

Extraliscio feat Davide Toffolo – (arriva 12) - Bianca luce nera - Siamo nella più classica delle quote caciarone del festival, quelle che a volte vanno bene e altre volte finiscono nel dimenticatoio. Forse ci si poteva aspettare più una qualche simpatica fisarmonica o robe più allegre, mentre è difficile pensare che, quando si potrà, nelle balere di Alfonsine i giovini di una volta lasceranno le mazurke di periferia per questa realtà, più in modalità balcanica (e noi qua siamo d'accordo con Elio e i suoi giudizi sul genere) che non ravennate.

Fasma – (arriva 18) - Parlami - Caro Amadeus ti scrivo, così mi distraggo un po'. Ora tu devi dirmi, ma c'è qualche ditta di autotune che ti paga per avere al festival solo presunti cantanti che abusano di 'ste cose? Altrimenti non si spiega. Allora tantovale andare di playback, no? E poi, anche questo, ma da dove salta fuori? Scusate, eh. Ma esistono i vocali di wazzap per lanciare disperati SOS alle proprie (ex?) compagne, usate quelli, no?

Francesca Michielin e Fedez – (arriva 2) - Chiamami per nome - La montagna partorì il topolino, con una roba che sembra presa dai diari delle quindicenni e con Fedez che, per andare a Sanremo, mette il vestito della festa adeguandosi all'andazzo. E comunque ormai dovrebbero fare un categoria a parte, quella degli alternativi che vanno a fare la Comunione e la Cresima come se niente fosse. Passa qualche emozione, ma del tutto citofonata, poi chiaro che avere consorte influencer alzi e non di poco il risultato finale. A Baldi-Alotta andò meglio.

Francesco Renga – (arriva 22) - Quando trovo te - Al trentennale dalla prima apparizione in Riviera, si è ormai talmente inzarrillito da rendere difficile ricordare sia che prima era un rockettaro alternativo non da poco (anche se cantare "2020" non portò fortuna), e che poi era stata una interessante voce a metà strada, democristianamente adatta a tutti. Adesso siamo ormai allo skip, in quanto tutto già di facile immaginazione e nemmeno tanto eccelso nell'ugolar. E ora il numero di Omar Pedrini ce l'ha?

Fulminacci – (arriva 16) - Santa Marinella - Una specie di nipotino di Francesco De Gregori, e tutto sommato meglio essere nipotino di De Gregori che non l'ennesimo pollo da combattimento trap. Poi chiaro che ne serviranno tante altre, e che anche questo, quando Sanremo era una cosa seria, prima sarebbe passato dalle nuove proposte. Però la base, benché non esattamente inedita, male non è: meglio questa, come deriva cantautoriale, che non gli straziati in overdose di autotune.

Gaia – (arriva 19) - Cuore amaro - Una versione di Elettra Lamborghini con meno culo, meno bocce, meno twerking e un po' più di voce (che poi basta solo averne). E' che sentendo quei suoni ormai siamo abituati ad aspettarci uno sculettamento, una lapdance, e allora si resta delusi. Più che una Lamborghini, un Ciao? É che chiamandosi come la mia Erede devo per forza essere equilibrato, capitemi.

Ghemon – (arriva 21) - Momento perfetto - Il figlio di Neffa con la voce (in teoria, eh...) di Sergio Caputo? Dai, poteva andare peggio, anche se è un altro di quei testi torrenziali dove si cercano di dire tante cose quando a volte si dovrebbe tornare al concetto dell'addiction-by-subtraction. Ovvero? Se hai da dire cose importanti, puoi usare anche qualche frase in meno.

Gio Evan – (arriva 23) - Arnica - Senza volerla buttare in politica per chi salì involontariamente alla ribalta durante la separazione tra la Isoardi e Salvini, però tutti questi disperati alternativi potranno mai diventare importanti senza passare dal via? Un po' di gavetta, una nuova proposta? Sarà l'anzianità, ma così come non riconosco una decognomata dall'altra, nemmeno riconosco questi tardoadolescenziali che urlano al cielo che qualcosa nella loro vita non è andato per il verso giusto.

Irama – (arriva 5) - La genesi del tuo cuore - Siamo al curioso caso dello smart working, e chissà se in futuro questo sarà il futuro. Senza scomodare casi ben più famosi come il Claudio Villa del 1955 o il Bobby del 1964, sembra un altro che avrebbe tante cose da dire e le dice tutte, troppe, facendo perdere il filo a chi, ovviamente sotto costrizione, lo deve stare a sentire. Rivedibile, risentibile, ma anche no, vocoder e senso di già ascoltato. Anche esteticamente, dato che pare il figlio di Massimo Di Cataldo.

La Rappresentante di Lista – (arriva 11) - Amare - Strano caso di lui che sembra lei e lei che sembra lui, vestiti entrambi come un Gabibbo che ha esagerato con il limoncello. Però evidentemente la formula Jalisse, tanto vituperata nei decenni precedenti, in tanti la vogliono riproporre. Mah, era proprio necessario? Pare di sì, visto le ottime critiche: ce ne faremo una ragione.

Lo Stato Sociale – (arriva 13) - Combat pop - Con Bennato a cui saranno fischiate le orecchie viste le somiglianze con la sua Capitan Uncino, il problema sarà capire il valore radiofonico, espunto dall'impatto visivo, di chi è ottimo performer scenico e forse meno titolato altrove. Almeno accanto alla vecchia che ballava c'era un brano che restava subito in testa, qui forse manca, appunto, il ritornello per tutti.

Madame – (arriva 8) - Voce - Ha un pregio, al netto delle solite distorsioni vocali: dà l'idea di essere veramente straziata e incazzata, e se l'interpretazione arriva come spontanea, e non come esercizio di finta rabbia, allora è un buon segnale. Insomma, viene davvero da andare lì e dirle che, dai, chiusa una porta si potrebbe aprire un portone, magari seduti sul bordo di un marciapiede e cercando di convincerla a non impiccarsi con le proprie corde vocali.

Malika Ayane – (arriva 15) - Ti piaci così - Ha sempre l'atteggiamento di quella che è stata buttata giù dal letto all'alba e costretta a fare qualcosa che non la fa esattamente impazzire. E allora giochicchia, la butta lì, dando l'idea di poter essere chissà cosa ma di non averne essenzialmente voglia. E allora, se non va bene a lei, perché deve andar bene anche a noi altri?

Maneskin – (arriva 1) - Zitti e buoni - Superato l'erroneo ri-battesimo di Orietta Berti, evitano quella sanremizzazione dei presunti cattivi che spesso arrivavano all'Ariston da Marilyn Manson e uscendone da Cugini di Campagna. Fanno quanto a loro richiesto, e a questo punto non è nemmeno più un giudizio sulla singola canzone: se piace il genere, questa piacerà. Vincono, e per Sanremo é una piccola rivoluzione, anche se sponsorizzata da talent e major: adesso chi potrà dire che all'Ariston vincono solo le lagne? Ora però evitino di invadere la Polonia, al massimo l'Illinois con Oriettona.

Max Gazzè – (arriva 17) - Il farmacista - Torna al cazzeggio dopo una parentesi sanremese seriosa che, se pure lui si mette a fare l'intenso, qua si perdono i punti di riferimento. Ok, è il Gazzè che conosciamo tutti, senza infamia e senza lode, che descrive un bugiardino come fosse una poesia, e alla fine è anche giusto che ad ogni Sanremo ci sia una "quota Gazzè": sarà ripetitivo, forse, ma almeno per qualche minuto evitiamo autotuner, strazi, incazzi, e ci limitiamo al puro intrattenimento. Ora però toglietemi la camicia di forza.

Noemi – (arriva 14) - Glicine - Una di quelle innoemierevoli partecipazioni con ottime dimostrazioni vocali, senza però lasciare davvero il segno. Un graffio, un qualcosa insomma, da farsi ricordare. Come quelle foto che fai, in vacanza, perché devi farle e comunque alla fine non le incornici mai. D'altronde, se si è parlato più della sua dieta che della sua canzone, forse, ci sarà un motivo.

Orietta Berti – (arriva 9) - Quando ti sei innamorato - Cosa vuoi dire a Orietta Berti, se non che a vederla si alza immediatamente il tasso di colesterolo nel sangue? E' la quota "very oldies" di Sanremo, che però latita nel rappresentare la fascia di età per cui Oriettona è preistoria e Irama troppo giovane. Ma che colpa ne ha lei, che pare la nonna a cui, alla festa di fine terza media, chiedono di cantare tra un rutto e un vomito altrui?

Random – (arriva 26) - Torno a te - Ecco. 26 cantanti in gara, allargando sempre di più il numero dei partecipanti, e forse scegliendo tra i candidati andando del tutto a random (ah, ah). Pare un catechista in crisi di coscienza, nemmeno tanto intonato e con il forte sospetto di aver sbagliato tutto nella vita. Ora Amadeus ci dica chi ha rapito i suoi cari in cambio di questo, imbarazzante, passaggio all'Ariston: mai visto niente di più squinternato.

Willie Peyote – (arriva 6) - Mai dire mai - Andrebbe apprezzato solo per le citazioni delle (dis)avventure di Bugo e di Elettra l'anno scorso. Poi è una simpatica musichetta sulla solita torrenziale omelia rap: forse oggi è questa la lotta sociale e la canzone di protesta, e tutto sommato chissà se Daniele Silvestri, da casa sua, non possa aver pensato ad un suo erede più o meno diretto. E attenzione, il ritornello resta in testa. (Enrico Faggiano)