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10/02/2019   SANREMO 2019 - IL NOSTRO COMMENTO (SEMISERIO)
  Il Festival secondo ''Sua Acidità'' Enrico Faggiano

Mahmood – Soldi – (arriva 1°) – C’era da fare la solita pagella del solito pseudo rapper-cantastorie che tira di mezzo la famiglia, e del microfono che non partiva a cui dare il premio della critica. Poi però vince, a sorpresa, ed è una cosa di cui si parlerà molto, molto più della canzone, come se il festival avesse avuto indicazioni di un certo tipo. Anche restando nel canoro (ammesso che ci sia qualcosa di canoro in Mahmood), è un segno dei tempi, una trap festivaliera, che vince misteriosamente. Solo che ho un dubbio: quando ero giovane vincevano i vecchi, ora che sono (relativamente) vecchio vincono i giovani. Sono io, che porto sfiga.

Ultimo – I tuoi particolari – (arriva 2°) - Ormai se fai parte del management giusto in pochi mesi puoi vincere tra i giovani, tornare l'anno dopo facendo anche un figurone rispetto ad altri presunti approssimativi artisti, e magari fra due anni tornare recitando in ruolo del superospite, che ormai viene concesso a tutti. Non è malaccio, e il male è proprio questo.

Il Volo – Musica che resta – (arriva 3°) - Come il mondo vede l'Italia: canterini, accademici, perfettini e di fatto anonimi. Sono un po' come gli spaghetti alla bolognese: famosi in tutto il globo, ma di fatto sconosciuti, se non proprio inesistenti, in Italia. Dove non abbiamo bisogno di ugole riprodotte in provetta per ascoltare dei tenori. Ma loro sono la versione televisiva, e quindi ufficiale, del bel canto: esiste, ci si chiede, una via di mezzo tra chi vuole a tutti i costi essere il primo della classe e i trappisti che si autobocciano già nella culla?

Loredana Bertè – Cosa ti aspetti da me – (arriva 4°) - La dimostrazione di cosa sarebbe potuta essere se, in carriera, avesse avuto qualcuno di serio a guidarla (in questo caso Curreri) e non solo le sue paturnie e i suoi fantasmi. Azzecca tutto sulla soglia dei 70 anni, e le si perdona il look da pubblicità della raccolta differenziata. Se non altro, nella sfida della senescenza con Patty Pravo, fa quasi la parte della adolescente ribelle di fronte alla mamma bolsa: l’Ariston si ribella alla sua non salita sul podio, e a ragione. E’ il suo miglior piazzamento al Festival ma, vista anche l’età, se non lo ha vinto quest’anno (e un Festival lo hanno vinto anche Lola Ponce e Gilda, Lola Ponce e Gilda!), quando capiterà?

Simone Cristicchi – Abbi cura di me – (arriva 5°) - Emoziona, certo, come no. Però è talmente teatrale da chiedersi cosa possa restarne, una volta passato alla radio, delle sue posture, delle inquadrature strappacuore e tutto quello che è spettacolo visivo. Magari resterà, magari no, ma almeno nell'elenco dei recitatori non cantanti ci sta come un maestro davanti agli esuberanti, ma incapaci, scopiazzatori. Egoismo puro: Battiato si prendeva cura del suo essere amato, lui vuole essere curato. Segno dei tempi. Richiamando l’antico Faletti, e nemmeno poco. Bella, ma difficile.

Daniele Silvestri – Argento vivo – (arriva 6°) - Si adegua alla modernità, e dove prima usava il megafono ora si porta il rapper di circostanza. Solito testo impegnato e atto all'altrui fermarsi a pensare, con il problema che, da queste parti, tutto va talmente di fretta (incredibile a dirsi, nell'estenuante liturgia festivaliera) da rischiare di perderne i concetti. Ma, direbbe lui, dove altro potrei farmi sentire, per farmi anche ascoltare? All'altezza della sua fama, niente più niente meno di quanto ci si aspetta, e non è un male.

Irama – La ragazza col cuore di latta – (arriva 7°) - Ma dai. Qui c'è una tizia, la protagonista della canzone, che ha avuto una vita familiare difficile, traumi vari, e poi magari ne è anche uscita. E ora deve sentirsi anche dedicare una canzone da 'sto qua? Ma non ci dovrebbe essere un limite alle sfighe che un essere umano affronta nella vita? Altro esempio di recitato stonato: ma siamo a Sanremo o al saggio di fine anno di una (scalcinata) compagnia teatrale?

Arisa – Mi sento bene – (arriva 8°) - Parte lenta, si carica, si scarica, agisce nell'ambito del vorrei ma non posso, con l'urgenza di chi sa di non potersi adagiare sui lenti che fanno addormentare. Ormai parte dell'ecosistema sanremese, in una canzone dove inizia Cenerentola, spera di diventare principessa, e quando la carrozza torna zucca rientra in cucina: la storia della nerd che si riscatta per quanto andrà avanti?

Achille Lauro – Rolls Royce – (arriva 9°) - Come a tutti i nuovi non gli viene chiesto di sapere cantare, e non offre nemmeno una scarpa in cambio del voto. Pare Grignani che imita Vasco, o Vasco che imita Grignani, ma alla lunga trova il tormentone della settimana, e una modalità rock che alle latitudini liguri lo fa sembrare un innovatore. Così è, se vi pare, anche se la citazione dei Doors farà rivoltare Jim Morrison nella tomba, ammesso che ci sia, dentro la sua tomba.

Enrico Nigiotti – Nonno Hollywood – (arriva 10°) - Ci mancava solo la canzone sul nonno che piscia. Ma tutte queste confidenze familiari, personali, 'sti giovani le devono proprio esternare all'universo mondo? Non potrebbero dirsele in faccia o, dato che adesso va tanto di moda, fare un post su facebook? No, tutti a Sanremo a fare i bravi, portando canzoni che nemmeno loro ascolterebbero mai. Pare Grignani che si arruffiana il parente per avere un aumento di paghetta.

Boomdabash – Per un milione – (arriva 11°) - La versione salentina dell'Orchestra Casadei, che forse dovrebbe restare a fare produzioni estive allegre e cazzone piuttosto che cercare delle vie di mezzo tra festicciole lisergiche e liturgie festivaliere. Yeah, yeah, su le mani, già pronti per fare gli animatori nei villaggi turistici. E dire che erano così giovani, che brutta fine...

Ghemon – Rose viola – (arriva 12°) - Poi arriva un momento in cui si deve alzare bandiera bianca, e ci si rende conto che il mondo va in una direzione diversa da quella voluta. Oh, magari è un problema generazionale, sentirsi come il simpatizzante di Peppino Di Capri mentre attorno arrivava il punk, ma quando non si capisce il perché di ‘ste cose è meglio fare i bravi e premere skip. D’altronde, solito discorso fatto anche per chi provava a fare rock a Sanremo: hai un tuo stile? E perché devi venire qua ad annacquarlo?

Ex-Otago – Solo una canzone – (arriva 13°) - Ignorandone onestamente il percorso che li ha portati fino a Sanremo, una sola cosa si dimanda il pagellatore: perché devono fare tanto gli alternativi, o magari arrivare a Sanremo in quota “siamo gente nuova”, e poi scanticchiare come dei New Trolls (nella versione da supermarket degli anni '90) qualsiasi? Che cosa resterà di costoro? Abbiamo qualcosa a cui aggrapparci per ricordarci della loro esistenza? Ne abbiamo davvero motivo?

Motta – Dov’è l’Italia - (arriva 14°) - Nel solco del Sanremo odierno, fatto di recitatori straziati che sono a metà tra cantanti stonati e rappers consci che, al Festival, devono fare i bravi. Diventa anche difficile parlarne, perché così come Carlo Conti si riempiva di decognomate in copia incolla (le Annalise, le Chiare, le Pine, le Gine, le Line), qui Baglioni esagera con questi novelli disperati che non sanno cosa fare della propria vita. E della propria (inesistente) ugola.

Francesco Renga – Aspetto che torni – (arriva 15°) - Sic transit gloria mundi: parti da incazzoso nei Timoria, poi diventi simpatico alternativo che a Sanremo va bene per tutti, finisci come sempre a raccontare delle tue disperazioni esistenziali, di rapporti familiari, ma insomma. Vogliamo farlo diventare il Toto Cutugno del nuovo decennio? Parleremo di mamme che imbiancano? Davvero Ambra che scappa con un allenatore calcistico lo ha portato a diventare così loffio? Ma fosse stato l’allenatore del Pizzighettone sarebbe andata uguale?

Paola Turci – L’ultimo ostacolo – (arriva 16°) - Perso il conto di quante volte sia passata da Sanremo, al limite da chiedere se non si possa darle il premio fedeltà o una qualche cartelletta segnapunti per uno sconto alla cassa. Almeno tiene alta l'attenzione restando sul fragoroso e non accoccolandosi sul noioso andante, capendo che al Festival, se ti adegui alle lagne, poi ti possono scambiare per una scatola di xanax. Rimane una trentennale incompiuta, ma pare ormai felice così, poi da giovane faceva l’impegnata e si vestiva, ora ormai ad ogni serata elimina un velo: durasse sei giorni, il Festival, il suo look verrebbe segato da youtube e passerebbe ad una categoria di quell’altro you.

Zen Circus – L’amore è una dittatura – (arriva 17°) - L'esperienza di quei cazzari dello Stato Sociale aveva dimostrato come, mettendosi un po' alla berlina, si possono ottenere risultati imprevisti ma anche meritati, se è vero che quelli là bucarono la cortina che separa Sanremo dal resto del mondo. Qui si resta seriosi, nemmeno tanto folkloristici, e nemmeno una vecchia che balla.

Federica Carta e Shade – Senza farlo apposta – (arriva 18°) - La milionesima riproposta dei due che si guardano negli occhi, teatralmente, promettendosi sentimenti e di tutto un po': come Al Bano e Romina, come i Jalisse, come altri diecimila prima di loro e, si suppone, altri diecimila dopo. Non se ne può più, anche se forse le tredicenni sbavano davanti ad un quindicenne che dice codeste banalità. E allora, avanti coi carri. E con un bel cuscino su cui russare, nel frattempo. Con un bicchiere di vino, ed un panino.

Nek – Mi farò trovare pronto – (arriva 19°) - Ormai a suo agio nella parte del finto giovane, e ben conscio del fatto che per avere passaggi radiofonici ha bisogno di alzare un po' il volume. Di fatto, accanto agli arrogantismi sentimentali dei nuovi finti rapper, lui pare Mogol, pare Battisti, pare De Andrè, tutti insieme in un 45 giri. Ma sono più demeriti altrui che non applausi propri: 4 anni fa gli andò bene e si rilanciò, avrà ancora spinta? Mah.

Negrita – I ragazzi stanno bene - (arriva 20°) - La loro unica volta al festival fu talmente positiva che dovettero poi passare anni a scusarsi davanti ai fans. Fanno quello che viene loro chiesto, senza che ci sia una eccessiva sanremizzazione della loro proposta, senza che si strabuzzino gli occhi davanti a chissà quale clamorosa novità, senza che se ne senta la necessità. Ma c'è dignità, e la cosa non è scontata, poi il fischiato è identico a “L’estate sta finendo”: quando si omaggiano i Big della musica, siamo tutti contenti.

Patty Pravo e Briga – Un po’ come la vita – (arriva 21°) - Un tempo si accompagnavano le nonne a fare la spesa, o a uscire il cane - come da recente Crusca - mentre oggi le si portano a Sanremo. Afona da giovine, figurarsi ora dove non si capisce quanto ci sia di scenico, di ricercato, o proprio semplicemente di sottoposto alle ingiurie del tempo che passa. Non si capisce se sia lui a utilizzarla per avere visibilità, o lei alla ricerca di un toyboy. Mah. Ma alla fine, è poi la solita storia del badante e dell’anziana, và.

Anna Tatangelo – Le nostre anime di notte – (arriva 22°) - Meno peggio di altre volte, ma rimane sempre e comunque quel senso di preconfezionato, di imposto, di montato ad arte. Qualche anno fa venne bocciata e, quasi per scusarsi, la Rai la spedì a fare un programma in prima serata. Stavolta, da terzultima, le daranno il TG1? E' bella, brava, meritevole, la migliore in Italia. Ok, ora mi fate tornare a casa?

Einar – Parole nuove – (arriva 23°) - Avete presente la pubblicità fasulla, quella per cui ti viene spacciato un qualcosa e poi nella scatola c’è altro? Idem: parole nuove, certo, come no. Altra solfa, altri strazi, altre stonature, altri motivi che spingono le persone normali, quello che un minimo di cultura musicale ne hanno, a chiedersi perché siamo qui a parlare di Sanremo e non, per dire, a pubblicare foto di micetti su Facebook. Nulla che non potesse fare, o rifare, un Marco Armani qualsiasi.

Nino D’Angelo e Livio Cori – Un’altra luce – (arriva 24°) - Ad un certo punto sembra Romina accanto ad Al Bano, e non si capisce più se sta mantenendo la via della sua seconda vita artistica, o se è tornato a fare musicarelli partenopei, recitando ora la parte del vecchio che lascia il posto al giovane. Se ne sono viste di meglio, se ne sono viste di peggio. Nu catetere e na maglietta.